I fini dell’umanità

L’artigianato dominò le società per millenni. L’inesistenza di macchine veniva compensata da strumenti e dalla mano e dalla mente dell’uomo. L’artigianato è alla base dell’arte che ne è lo svolgimento supremo. Esistevano a quell’epoca ceti aristocratici i quali avevano stima di se stessi e volevano ornare le abitazioni, anche quelle sacre, mi riferisco alle aristocrazie sacerdotali, e intendevano lasciare il loro ricordo. La compagna fedele dell’arte è l’immortalità. Aristocrazia sacerdotale e aristocrazia guerriera avevano rapporto necessario con l’aristocrazia degli artisti e questo rapporto durò per millenni.

Il denaro di per sé veniva considerato spregevole. La filosofia greca, i filosofi greci, consideravano abietto l’individuo che fa denaro e persino le forme leggendarie favoleggiavano di uomini che trasformavano in denaro tutto ciò che esisteva (“ciò che tocca oro diventa”), a dimostrazione che il denaro è morte se non lo si trasforma in vita, ossia arte. Una modificazione radicale di queste condizioni venne nel diciottesimo secolo, quando furono inventate le macchine. Le macchine producevano enormemente, rapidamente e soprattutto non avevano bisogno della manualità artigianale, anzi l’opposto, il lavoro era ripetitivo, quasi demenziale e non esigeva capacità. Nello stesso tempo vi era un risultato grandioso, la produzione esigeva occupazione, l’occupazione causava salari, i salari generavano consumi, i consumi favorivano la produzione, quindi l’occupazione, quindi i salari, quindi i consumi.

È la strabiliante novità del capitalismo il quale in tale circuito credeva di avere trovato la soluzione al bene sociale, ma sarebbe meglio dire al benessere sociale, perché è sul punto tra bene e benessere che si gioca la modernità. Gli artisti, che sono artigiani, impetuosamente colsero la gravità della macchina e del prodotto in serie, e come, aumentando i consumi, si sarebbe venuti incontro alle masse ed il prodotto più vendibile avrebbe sostituito il prodotto di qualità. Pressoché tutti gli intellettuali, filosofi, scrittori, artisti in genere rifiutarono la macchinazione fino a pervenire a estetismi ossia ad una società che rifiutava la società (Decadentismo), il nuovo progresso. Quando il proletariato si affacciò alla storia a qualche pensatore parve che il ruolo alienante delle macchine e il culto della merce sarebbero stati annientati o meglio ancora superati dialetticamente da questa classe, il proletariato, il quale avrebbe ristabilito il valore della creazione artistica, prospettando iperboliche conquiste spirituali, dopo la fine della separazione del lavoro e l’acquisizione del tempo libero.

Il lavoro sarebbe spettato alle macchine e l’uomo si sarebbe dedicato all’arte e alla cultura. La mia generazione, che si affacciava al pensiero negli anni Sessanta, visse questo mirabolante futuro che non divenne mai presente e non solo restò futuro, ma si dissolse, il proletariato invece di creare questa nuova civiltà, si diede ai consumi, come si disse si imborghesiva, anzi si piccolo-imborghesiva. Negli anni Trenta, ma anche prima del Ventesimo secolo, si cerca un’alternativa sia alla borghesia che al proletariato, tutto sommato sulla falsariga di Friedrich Nietzsche, che aveva drammaticamente posto il bisogno di un’altra fonte sociale. Ma i risultati furono catastrofici.

Il nazismo ritenne l’aristocrazia ariana alternativa alla borghesia e al proletariato, rovinando la dignità umana. Il fascismo non ebbe potenza idonea a suscitare un’alternativa, la nostalgia dell’impero romano e delle conquiste militari durarono una notte. Il comunismo fu più organico e tentò un’arte proletaria ma, quando crollò venne immediatamente sostituito dall’ortodossia che era ed è l’essenza della Russia. Altri intellettuali cercarono nella religione, nella tradizione, addirittura nell’Islam, un’alternativa, ed altri ancora nell’aristocrazia dello spirito, con aspetti esoterici. Dopo l’annientamento del fascismo, del nazismo, del comunismo sovietico, rimangono la borghesia, il proletariato e residui consistenti della società dei consumi, come mentalità, soprattutto rimane la tecnologia.

È una situazione che può far soccombere le nostre società. Fare della tecnologia lo scopo dello svolgimento storico dell’Occidente porterà alla guerra, perché la tecnologia tende alla potenza e soprattutto a sperimentare la potenza. Precisamente; se la genetica può modificare l’uomo, lo farà. E se negli armamenti avremo un ordigno che distrugge senza essere distrutto, lo si userà. Gli Stati Uniti la bomba atomica la hanno usata, unico Paese, perché era superiore in distruzione. I grandi inventori avvertivano continuamente che l’uomo usa le invenzioni anche se orribili. O perché orribili. Dunque la via della tecnologia è la via della morte. Bisogna “distrarre” le finalità dell’uomo e volgerle a quanto ci mantiene in vita, suscita vita, arricchisce la vita, dà bellezza alla vita, ossia l’arte, la cultura.

Se non vi è un ceto intellettuale che con ogni sforzo tenta di trarre la società a queste finalità, ma vincerà il ceto tecnologico, non c’è speranza. Attualmente tutto quello che sta avvenendo è quasi un voler sperimentare la potenza della tecnica, sia in campo medico sia in campo militare. Bisogna riflettere, fermarsi, ragionare sul dove ci porta tutto questo, a degli enormi vantaggi accosta pericoli fatali. L’arte e la cultura hanno solo lo svantaggio di non poter dedicarci per sempre al loro culto e di dovere finire la vita senza continuare ad ammirare quanto di bello hanno fatto e possono fare gli umani. Certo, vi è anche l’economia, certo, la scienza, ma purché vi siamo scopi di gioia di vivere, scopi entusiasmanti, scopi collettivi, aggregativi. L’arte è socializzante, la natura è socializzante, sono aspetti che favoriscono l’amore per la vita, il lavoro rassicurato, la religione per chi crede o forme sociali di altra specie.

Chi ama la solitudine se ne stia solo, occorrono termini dalla parte della vita, l’esibizione della sperimentazione tecnologica della capacità distruttiva sull’uomo ha come risultato la cimiterializzazione del pianeta. Siamo nel nichilismo compatto, onnipressante. Lo scetticismo greco almeno salvava la qualità intellettuale. Salvare la qualità intellettuale, rendere attraente la qualità intellettuale. Un’epoca deculturalizzata ed anche ammazzata dalla guerra eccede in desolazione. Sarà contento Mefistofele. No, accompagniamoci a Faust, all’amore verso Elena e alla costruzione della città laboriosa e fertile. L’arte ed il lavoro rassicurato sogni. Bene. Bene, allora: bruttezza e distruzione, deve essere questa la realtà per essere realistica? Questi i fini (la fine) dell’umanità!?

Aggiornato il 06 maggio 2022 alle ore 12:55