Incredibilmente, il pensiero greco si concluse, almeno come pensiero dei greci, nel più desolante naufragio. La “ragione”, orgoglio, di quella civiltà, dichiarava la sua impotenza; la ragione manteneva il suo compito ma negandosi, la ragione svelava a se stessa di non capire, di non giungere alla verità, di ignorare che mai fosse “verità”. La ragione affermava di non poter emettere giudizi, non che cessasse di giudicare ma non sapeva se ben giudicava. Un dubbio vasto e perenne stringeva l’uomo, un’insicurezza totale, vero/falso, giusto/non giusto, bene/male, non erano definibili. In tali condizioni, l’esistenza si fermava, Come agire, come scegliere se l’uomo non poteva stabilire la positività della scelta? La sospensione del giudizio era anche sospensione della vita, chi non si ritiene in grado di giudicare non decide, a meno che decida ma convinto che non ha certezza di una scelta appropriata, sceglie perché deve pur scegliere, ma si estranea a se stesso, non si avvince alla scelta come accade a chi crede nella scelta, sceglie con una riserva interiore.

Indagare sui motivi storici, sociali di questo atteggiamento, la perdita di fiducia di un popolo ornai sconfitto e privato di ogni sicurezza, fornisce una spiegazione circoscritta dello Scetticismo, esso, più generalmente, è presente, con varia intensità, nell’uomo, ed appare dentro di noi ora innestandosi nell’incredulità religiosa, ora nell’incredulità morale, ora nell’incredulità conoscitiva. Lo scetticismo come tale ne è l’aspetto clamoroso, dichiarato nettamente.

Fu Pirrone nel III secolo a.C. l’iniziatore dello scetticismo. Le sue convinzioni sono radicali, né i sensi né la ragione forniscono conoscenza veritiera. Pirrone supera il dualismo tra chi riteneva veritiera la conoscenza tramite i sensi e chi riteneva veritiera la conoscenza tramite la ragione. Infatti, sostiene Pirrone, i sensi ci forniscono una conoscenza assoggettata ai mutamenti delle nostre concezioni, ma d’altro canto la ragione, privata delle sensazioni, sarebbe nell’impossibilità di chi conosce. Allora, che conosciamo? Le formulazioni che stabiliamo tra noi uomini, non la realtà ma le nostre maniere di valutarla, se ci accordiamo che qualcosa è bello, male, lo giudichiamo tale, in modo soggettivo. Ma se dovessimo giudicare secondo verità oggettiva non potremmo farlo, dovremmo sospendere il giudizio (epochè) ed osservare con indifferenza l’esistente, non avendo un criterio di scelta, inconsapevoli del vero e del falso, del bene e del male.

La Scuola Scettica proseguì innestandosi nella Scuola Accademica posteriore a Platone, la Media accademia. È Arciselao (314-240 a. C.) a compiere questo inserimento. Può sembrare stupefacente che lo scetticismo penetri nella Scuola che proseguiva l’insegnamento di Platone, il filosofo certissimo dell’esistenza della Verità, ma non è assurdo. Platone riteneva ingannevoli i sensi ed ingannatrice la realtà terrena, sicché gli Scettici non facevano che attestare l’ingannevolezza della conoscenza mondana (e non si curavano del Mondo Iperuranico). Addirittura, Arcesilao, rende estrema la concezione di Socrate che dichiarava di sapere esclusivamente di non sapere. Ad opinione di Arcesilao, è troppo dichiarare che si sa di non sapere; perfino del sapere di non sapere occorre dubitare. A quanto conosciamo, Arcesilao proponeva la discussione su di un argomento, che egli trattava in modo opposto. Era una maniera adoperata dai Sofisti, che però la impiegavano accettando la prevalenza del più abile, mentre gli scettici annientavano una tesi con l’altra giungendo all’indifferenza o all’inerzia.

Successivamente lo Scetticismo, ormai inserito nella Scuola Accademica, con Carneade di Cirene (212-128 a.C.) attenua l’estremismo. Carneade accetta la convenzionalità dei giudizi, ma formula la teoria che prendiamo per vero ciò che non viene contraddetto, non perché sia vero ma perché, non essendo contraddetto, assume valore sociale, è accettato come vero. A Carneade, inviato in ambasceria a Roma, si devono discorsi molto problematici in campo morale. Poniamo: se i romani dovessero agire secondo giustizia, dovrebbero ridare ai popoli sconfitti ai quali sono stati tolti, i beni tolti, ma sarebbe saggio farlo? Se in un naufragio salviamo noi a spese dei più deboli, agiamo bene o male? Sono antitesi che resteranno nella civiltà e restano.

Timone di Atene sostiene che noi affermiamo una tesi su di un presupposto dimostrato come vero che si basa su di un presupposto dimostrato come vero, non vi è mai un punto di partenza o definitivo fondato su una conoscenza vera prima o ultima, piuttosto una serie concatenata mai esaurita di dimostrazioni. Per Timone, non abbiamo né premesse evidentemente vere, né conclusioni definitivamente vere. Le dimostrazioni, le spiegazioni si susseguono e non si concludono. In effetti poiché la filosofia greca riteneva il ragionamento deduttivo preferibile all’induttivo, e poiché il ragionamento deduttivo è fondato sulla premessa apodittica, ossia evidentemente vera e non bisognosa di dimostrazione, se non si accetta che esiste una verità che non ha bisogno di dimostrazione, si finisce in un circuito interminabile, ogni tesi va dimostrata e ciò che dimostra va a sua volta dimostrato, e così inesauribilmente.

Ulteriormente, lo scettico Clitomaco nega la magia, l’astrologia. Ormai, in una fase di radicale sfiducia, i greci si affidavano a forme di superstizione divinatorie e gli Scettici annullavano anche questa possibilità. Clitomaco accetta le posizioni di Carneade sulla scelta di ciò che è ritenuto probabile come vero, quale criterio di comportamento, Carneade aveva parlato di aderire a principi condivisi. Ma il criterio della verità probabile, della condivisione, sostenuto da Carneade, Clitomaco veniva stroncato dagli ultimi scettici: Enesidemo, Luciano, Sesto Empirico. Quest’ultimo riporta lo Scetticismo alla negazione totale, specie in terreno religioso. Sesto Empirico separa il comportamento esterno dalla adesione interna. Un uomo può contemporaneamente non negare, poniamo, la Provvidenza Divina, ma non esserne certo interiormente. Un culto puramente esteriore, Lo stesso per quel che riguarda Dio, di cui non si danno prove e non esiste cognizione. In quanto al male, per Sesto Empirico è inconcepibile o blasfemo supporre Dio e la presenza del male. Perché non lo si elimina? Perché lo ha fatto.

Finiva così, nel buio assoluto, nella ricerca mai concludibile, nell’indeterminazione, il pensiero greco. Quasi la volontà di annientare il passato, quando verità, bellezza, bene, virtù sembravano, erano riconoscibili e praticati. Non potendo più vivere di questa certezza, i greci sconfitti dai barbari scelsero la negazione radicale, la dissoluzione. Non volevano rimpiangersi o mediocrizzarsi. O la Verità o il Nulla. Scelsero l’orgoglio del Nulla, il coraggio del Nulla, Sopra questo “Nulla” ebbe origine un’altra maniera di attingere o presumere di attingere la Verità: la Fede.

Aggiornato il 05 aprile 2022 alle ore 12:41