Lo Stoicismo: Seneca

La concezione filosofica che più radicalmente dell’Epicureismo costituì la difesa dell’uomo dalla crisi esistenziale e sociale della Grecia dal IV secolo a. C. fu lo Stoicismo. Esso nasce da radici greche, a loro volta con fondamento nell’Induismo, come avviene sovente nella cultura Greca. La visione stoica innova radicalmente una concezione alla quale i greci tenevano massimamente: considerare tutti gli stranieri barbari e considerare soprattutto il popolo greco eminente, il sale della terra. Gli stoici, invece, universalizzano l’uguaglianza umana, addirittura rendono “uomini” gli schiavi, il che nel mondo greco ma anche generalmente nel mondo antico era fuor di senso. Lo schiavo era a tutti gli effetti una “cosa”. Senza dubbio il fatto che la Grecia aveva perduto l’indipendenza e che le conquiste di Alessandro Magno avevano allargato la conoscenza di altri popoli, rimescolandoli, contribuirono all’universalismo. E poi, ormai i greci non dominavano il Mediterraneo, erano come gli altri.

La dottrina

La morale è l’aspetto della dottrina stoica con la massima rilevanza nel pensiero successivo, a Roma, nel cristianesimo e persino oggi. Questa scuola filosofica fu creata ad Atene da Zenone di Cizio verso il 300 a. C. e proseguita da Cleante e Crisippo. Successivamente viene distinta in varie fasi: antica, media e nuova, quest’ultima specialmente a Roma. Gli stoici propongono la divisione della filosofia in logica, fisica, etica. La conoscenza viene dalle sensazioni, ma è la ragione che approva o meno e formula i concetti. La fisica si connette ad Eraclito, al fuoco che diventa materia terrena o principio aeriforme.

L’universo è uno, con un elemento attivo e un elemento passivo, spirito e materia, entrambi venuti dal fuoco. Il principio attivo, Anima del Mondo, permea l’esistenza corporea nei vegetali e negli animali. Nell’uomo con la ragione, il fuoco attivo è spirito divino, “Pneuma”. Regge internamente l’andamento della realtà in modo fatale e provvidenziale. Ciò che accade deve accadere e nello stesso tempo è provvidenziale, tutto è legato e necessario. All’uomo non resta che accettare questo percorso irrimediabile degli elementi di cui può prevedere gli sviluppi senza ribellarsi né volere situazione diversa da quella esistente. L’universo si distruggerà ma ritornerà perfettamente come è stato. Il passato si ripeterà identico al millesimo.

Letica

L’aspetto più noto ed influente dello stoicismo è l’etica. riprendendo i cinici, che disprezzavano i beni materiali e apprezzavano la virtù della rinuncia, gli stoici affermano il completo distacco dalle passione, l’apatia. L’uomo non deve opporsi all’inevitabilità della realtà così come è, deve sopportare ogni traversia dimostrando forza d’animo e virtù. Ogni persona deve riconoscere che vi è un disegno provvidenziale, nel caso non fosse in condizione di staccare da sé il gravame della realtà sgradita, rendendosi apatico. Per non soffrire ha il diritto di suicidarsi. Al dunque, l’unica libertà che lo stoico può esercitare non consiste nel cambiare la realtà, ma nel non accettarla interiormente, nel non sentirla rendendosi apatici.

Questi filosofi ritenevano tutti gli uomini uguali e consideravano opportuno partecipare alla vita pubblica. Stoicismo ed Epicureismo si innestarono a Roma, dove permearono la condizione dell’esistenza. Tito Lucrezio Caro, nel primo secolo a. C. scrisse un mirabilissimo poema, De rerum natura, inneggiando ad Epicuro. Lui, stabilendo la mortalità dell’anima, aveva strappato all’uomo il terrore dell’aldilà ed aveva confinato gli Dei in un mondo separato. Per Lucrezio, così facendo, aveva liberato l’uomo dalla superstizione religiosa, causa di mali (Tantum religio potuit suadere malorum). Stoici a Roma furono lo spagnolo Seneca, Epitteto, e l’imperatore Marco Aurelio.

Non modificarono la concezione stoica greca, piuttosto ne affermarono il distacco dal legame emozionale con il mondo, l’uguaglianza degli uomini, la negazione delle schiavitù, la sopportazione di ogni sventura a dimostrazione della propria virtù. Il dolore e le avversità mettevano alla prova la capacità di reggere. Una morale per certi aspetti ripresa dal cristianesimo originario, che però “sentiva” la fraternità e il dolore. Ormai l’uomo greco “classico” che voleva raggiungere la felicità cercava di difendersi dall’infelicità, trovando la calma in una rassegnazione virile (Stoici) o in un moderato piacere (Epicurei).

Lucio Anneo Seneca (4 a. C.-65) fu uomo politico, drammaturgo veemente, estremo, scrittore aforistico degno degli antichi. Quando sospettato di cospirazione, l’Imperatore Nerone, del quale era consigliere, lo “invitò” ad uccidersi per non essere ucciso. Seneca si uccise. Un suo congiunto, Marco Anneo Lucano (39-65), anche egli giovanissimo, ebbe sorte cruenta per decisione dello stesso Imperatore. Il suo poema, Pharsalia, ha potenza e fantasia dantesca. Epitteto ebbe sorte più lieta, venne tradotto da Giacomo Leopardi. Marco Aurelio si immortalò da sé, con un volumetto autobiografico che fa parte dei libri dell’umana saggezza. Uomini, quelli, che vivevano ciò che scrivevano, scrivevano ciò che vivevano, e mantenevano la “forma”, senza la quale il marmo resta blocco grezzo di scarto. Se l’Occidente perde “questa” eredità classica. Ecco il problema!

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 18:49