Il rapporto tra la cultura e la politica

Il discorso sulla cultura come fondamento della dignità dell’uomo e della stessa democrazia, è antico come la storia della civiltà, che ha dei riferimenti geografici ben precisi: la Grecia per la filosofia, Roma per il diritto, l’Oriente per le religioni. Occorre dunque partire dalla Grecia, culla della civiltà europea, dove compito dell’educazione del fanciullo era quello di formare il cittadino, di rendere l’individuo responsabile di sé, capace di superare il limite dell’interesse particolare, il che rappresentava la forma più alta e più sicura di attuazione della formazione civile. Doveva diventare da adulto zoon politikòn – secondo la definizione di Aristotele – vale a dire “essere vivente nella polis, per la polis”, in una dimensione di socialità indispensabile al benessere personale ed altrui. Questo è l’uomo politico nella sua accezione etimologica ed etica. La politica, tuttavia si è talora deformata nell’affarismo, nella corruttela, nel tornaconto personale – senza voler fare delle qualunquistiche generalizzazioni – con la conseguente disaffezione del cittadino medio anche verso quello che in un recente passato era il preciso “diritto-dovere” di andare a votare. “Diritto-dovere” come lo è quello, ad esempio, dell’esercizio della patria potestà.

Al recupero della coscienza civile possono e debbono contribuire gli intellettuali, categoria benemerita se in virtù della loro elevata cultura possono influenzare verso tale obiettivo la collettività. Categoria esecranda – viceversa – se pongono il loro sapere al servizio del potente di turno, obnubilando le coscienze dei meno provveduti. La cultura – concetto antitetico all’ indottrinamento, che ne costituisce la deformazione – è il sale della democrazia, poiché chi ignora non discerne, e chi non discerne si rende facile preda delle lusinghe degli affabulatori di turno, pronti a rivelarsi tiranni alla prima favorevole occasione. È attraverso la cultura, di cui l’intellettuale deve sapersi rendere tramite, che ognuno può essere posto in grado di far emergere quel patrimonio di razionalità che possiede fin dalla nascita, altrimenti destinato ad essere inespresso, ed a tradurlo in feconde scelte relazionali, vale a dire a far opera politica nel senso più nobile evidenziato.

Senza la capacità di ragionamento, frutto solo di una cultura libera da condizionamenti – cioè della cultura senz’altro – nessun regime liberal democratico può nascere o sopravvivere. Nel dibattito dottrinale sul ruolo della cultura in generale, una pietra miliare è rappresentata dal Benedetto Croce, che nel 1915 ne esaltò la funzione sociale, dovendo – per meritare tale nome – essere scevra da ogni contaminazione o piaggeria nei confronti del Potere, ed al contempo calarsi nella vita reale, rifuggendo da fughe nell’astratto.

“La cultura serva è riprovevole – scrisse – ma altrettanto riprovevole è la cultura che pretende di chiudersi nelle sue pretese torri d’avorio, perciò condannata a non saper nulla del mondo, della vita e della storia, che è l’indispensabile terreno di coltura della cultura. La “purezza” della cultura e del pensiero, che nascono dalla vita e debbono vivere in essa, non è garantita dalla loro secessione dalla vita. Può essere garantita solo dal suo senso di sé, dal suo senso dei propri doveri e della propria dignità”. Nei tempi presenti, in varie circostanze, il presidente Sergio Mattarella si è espresso sull’importanza della cultura, definendola come condizione di libertà e come parte essenziale della ricchezza, anche economica, di un Paese. A fronte di un‘informazione telematica “superficiale che tutto brucia nell’istante”, con immagini o espressioni di cento caratteri e frasi incompiute, ha esaltato l’importanza di una lettura non frettolosa, quale solo lo strumento cartaceo è in grado di offrire.

Partendo da queste premesse, riteniamo che meriti una speciale attenzione il libro fresco di stampa della filosofa Rosaria Catanoso, Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica (edizioni Fondazione Matteotti) con prefazione di Teresa Serra e saggio introduttivo di Alberto Aghemo. Nel libro viene evidenziata l’importanza della filosofia, (filo = amico; sophia = sapere), o – in senso più lato – delle le Res quae sunt spiritus, la Catanoso conduce il lettore in un avvincente excursus storico al fine di “ricercare una connessione critica tra la filosofia, intesa come pensiero speculativo, e il vivere quotidiano”. Il testo è corredato dall’ampia bibliografia che è alla base dell’approfondita analisi del ruolo dei grandi pensatori nel corso dei secoli. Non mancano le connessioni con il diritto, la scienza, la sociologia, la storia, in una visione di insieme in cui l’intellettuale ha un ruolo attivo di guida operosa, mai chiusa in un sapere autoreferenziale. Egli è chiamato ad attingere – viceversa – al proprio patrimonio culturale, come ad uno scrigno da aprire al bene comune, ovvero agendo come un’ape che si posa sui fiori del sapere e ne dispensa il nettare a quanti vogliano nutrirsene.

La figura del vero intellettuale non è quella di un paggio cortigiano al servizio del potere politico, o dell’aedo di una determinata ideologia, bensì quella di uno spirito libero da qualsivoglia condizionamento. L’intellettuale non deve dirigersi dove tira il vento, ma deve farsi vento egli stesso, diffondendo il profumo della libertà e del discernimento. La Catanoso presenta un excursus storico – filosofico che prende le mosse dal mondo greco, senza cadere in vuoti astrattismi, ma rendendo semplici discorsi complessi – dote oggi assai rara – per rendere accessibile al più vasto pubblico dei “non addetti ai lavori” il frutto delle sue ricerche e dei suoi studi appassionati. L’autrice passa in rassegna le figure più eminenti nella storia del pensiero, dal mondo classico all’età medioevale, per arrivare all’età moderna, ed infine a quella contemporanea. con rara capacità di sintesi, rendendo una materia intrinsecamente complessa, accessibile ai lettori di ogni livello.

Tramite un’attenta contestualizzazione storica del cammino del pensiero – e quindi della civiltà – indica un percorso con tornanti dove si alternano salite e discese, nel quale anche queste ultime fanno parte dell’idea del progresso, che non consiste in un’illusoria retta ascensionale perennemente protesa verso l’alto, come ammoniva a il Croce. Progresso che – nel campo della libertà del Pensiero – ebbe una straordinaria accelerazione a far data dalla Rivoluzione francese, che non fu solo un rivolgimento politico, ma anche filosofico, con forti implicazioni negli assetti economico-sociali del futuro. A partire dal 1898, con la redazione del Manifesto degli intellettuali in Francia, a seguito dell’Affaire Dreyfus. il ruolo di tale categoria assunse la valenza di una sorta di coscienza collettiva.

L’autrice non manca di ricordare lo scadimento di alcuni intellettuali a uomini in cerca di audience, di notorietà attraverso i mezzi di comunicazione di massa, con il che l’intellettuale non è più guida, ma funzionale ai gusti del momento, perdendo così la dignità di sapiente e di faro. Oggi abbiamo la figura dei cosiddetti influencer, che purtroppo sono in grado di orientare il gusto emulativo di milioni di persone, specialmente giovani. Sono i nuovi pifferai di Hamelin, che possono guidare all’eutanasia della democrazia. Il libro della Catanoso può rivelarsi un prezioso farmaco perché questo non avvenga!

Aggiornato il 28 gennaio 2022 alle ore 11:04