Il 21 dicembre, a Roma, ha un significato particolare e non particolarmente allegro. In questo infausto giorno, infatti, morirono coloro che vengono considerati i due più grandi poeti della letteratura romana: Giuseppe Gioachino Belli, esattamente il 21 dicembre 1863, e Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, il 21 dicembre 1950. Curiosa coincidenza, che mette in relazione due geni i quali, ognuno col proprio stile e con originale profondità di contenuti, hanno nobilitato il dialetto romano, portandolo ai vertici della letteratura.
Il Belli, funzionario papalino di nobili origini, decise con i suoi sonetti “di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma”, componendo per l’appunto in romanesco, ossia la lingua della parte proletaria della città, gioielli ineguagliabili, tanto da assurgere a Sommo riferimento non solo per chi ama cimentarsi nel vernacolo della Capitale, ma per figure dello spessore di Pier Paolo Pasolini.
Trilussa, vissuto in epoca più recente, nella Roma non del Papa Re, ma dell’Italia unificata, quindi in una città composta da una popolazione di diverse origini e più articolata di quella del Belli, ci ha donato perle poetiche redatte in un romano più borghese, quindi anche più fruibile, suscitando per tale ragione le ire del mentore Enrico Chiappini, grande poeta capitolino maggiormente legato all’ortodossia belliana. Trilussa, per i meriti straordinari, venne nominato “Senatore a vita” dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi o meglio, come ebbe a dire lo scrittore stesso, “Senatore a morte”, presagendo l’imminente dipartita (appena 20 giorni dopo la prestigiosa nomina).
Due rappresentanti insuperabili dell’Urbe, dunque, simboli di epoche diverse, ma complementari nel cogliere la genialità e l’ironica profondità della cultura romana. Due uomini accomunati da questo 21 dicembre, giorno che potrebbe assurgere, proprio grazie alla meravigliosa eredità letteraria del Belli e del Trilussa, a occasione di ricordo, lettura, ricostruzione storica, approfondimenti culturali; in poche parole, a Festa della Romanità.
È una semplice idea, supportata dai versi che seguono, umilmente redatti sul tema, che l’autore di questo appunto auspica possa essere presa in considerazione dai propri concittadini e dalle autorità romane.
Er 21 de dicembre
Roma cià ‘na ricorrenza
che nun è tanto apprezzata.
Nun è mica pe l'inverno,
ma pe lutto cittadino.
Du' poeti de livello,
fiji nobbili de Roma,
se n’andorno - coincidenza! -
er ventuno de dicembre
sotto a l’arberi pizzuti.
Esse tristi è sacrosanto,
ma perché nun renne omaggio
a Trilussa e Belli sommi
co letture dedicate
in sto brutto anniversario?
È ‘na cosa più pricisa!
Da lassù, ‘ndo stanno in pace
cor Signore, se direbbeno:
“'Na fojetta se scolamo,
che dovemo festeggià!
Grazie a chi ce vole bene
sta giornata de tristezza
s’è vestita de cultura
e de la romanità”.
Aggiornato il 21 dicembre 2021 alle ore 18:42