Era la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 quando, all’Idroscalo di Ostia, secondo una dinamica che – in parte – resta ancora avvolta nel mistero, venne ucciso lo scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini. Forse il più grande intellettuale italiano del secolo scorso. Ma non lo scrivo soltanto perché, il prossimo marzo 2022, ricorreranno i cento anni dalla nascita né, tantomeno, per guardare al passato. Anzi, per coglierne l’essenza e, quindi, la sua presenza nell’oggi. Un anniversario di particolare attualità. Pier Paolo Pasolini è il genio, la profezia, l’intuizione pura. Se fosse uno dei quattro elementi individuati dal filosofo Aristotele, sarebbe l’Acqua. Nella letteratura italiana del Novecento, Pasolini rappresenta il mare, le onde, la “pantalassa”, il fiume, il torrente, la pioggia, la neve, il candido manto di neve. Insomma, l’autore di Scritti corsari e di Lettere luterane ci ha regalato pagine così pure e dirompenti che sembrano nate o sgorgate dall’acqua o innevate da un’anima pura. Ogni sua pagina è sempre sorgente di idee, fonte d’ispirazione, energia fondatrice, elemento dinamico che scorre come un fiume e arriva fino a noi, raggiunge il lettore, lo inonda, lo può travolgere o far rinascere.
Tra il 1974 e il 1975, Pasolini scrisse alcuni editoriali e pezzi sul Corriere della Sera e su altri quotidiani, dedicati alla lettura critica di quegli anni, all’analisi sociale e civile dei suoi tempi, ma profetizzando il futuro e anticipando i nostri tempi. Tra questi “scritti corsari”, ricordiamo – ad esempio – il famoso articolo intitolato Il fascismo degli antifascisti, uscito sul Corriere del 16 luglio 1974 e in cui afferma: “I fascisti si sono sempre divisi in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. Pasolini scrive di Potere e parla del Potere. E scrive Potere, con la P maiuscola, intendendo così ogni forma di violenza, di sopruso, d’ingiustizia, d’infamia, di schiavitù, di sopraffazione. Il Potere, infatti, è il Nulla che tutto fagocita. Pasolini scriveva Potere, con la maiuscola, perché lo intendeva come il dominio dell’arroganza, del nichilismo, dell’ingiustizia. È un Potere che si alimenta del fanatismo e dell’ideologismo, dell’affarismo e del rancore, della rabbia e del consumismo edonistico, della cupidigia e della bestialità. Non a caso anche Pasolini, come pure Elio Vittorini e Leonardo Sciascia, sarà costretto dalla sua storia personale a rompere con il Partito comunista italiano. E, alla fine, scelse di schierarsi – lungo la via per la libertà, per l’amore, per la responsabilità civile e politica. D’altronde, le vecchie categorie, per Pasolini, dopo il 1968, non significheranno più niente. Anticipò i tempi. Da vero profeta e da poeta, da politico come non ce ne sono più oggi, da corsaro.
L’opera di Pasolini è così: irrequieta, purificatrice, finanche distruttrice, dolce e salata, confinata e infinita, non ha inizio e non ha fine, anzi: è inizio e fine allo stesso tempo, tutto abbraccia e tutto rigenera. È pioggia e acquazzone, a volte, ma soltanto per destarci dal nostro torpore. L’arte di Pasolini, dal cinema ai romanzi, dalla poesia agli articoli, è impregnata dall’elemento dell’Acqua, esprime l’anima del mondo sommerso e sottoproletario, del Terzo e Quarto mondo, è Ragazzi di vita, Una vita violenta, Accattone, Mamma Roma, La ricotta oppure Passione e ideologia, Empirismo eretico, Poesia in forma di rosa . Insomma, la scrittura di Pasolini non è statica, ma trasforma, purifica, prevede, è lungimirante, depura. È vita. Anche se la fine tragica dello scrittore ha avuto la meglio sulla sua opera.
L’anniversario della sua nascita è un “qualcosa” che fa tornare alla mente quell’articolo di Pier Paolo Pasolini dal titolo Il vuoto del potere in Italia e meglio conosciuto come L’articolo delle lucciole, pubblicato il 1° febbraio 1975 sul Corriere della Sera. Apparso, poi, nella raccolta degli Scritti corsari. Da rileggere. Da riascoltare. Se Pier Paolo Pasolini è l’arte, allora va detto che l’arte è linguaggio, comunicazione, creatività. Come la Politica. Non a caso, essa è visione del mondo, intuizione delle forme, immaginazione del possibile, parola, realizzazione di un’idea. In poche parole, per Pasolini, la Politica è l’arte del “nuovo possibile”.
Oggi, aderendo alla visione del poeta di Casarsa (cittadina del Friuli), potremmo dire che la Politica, con la P maiuscola, è tale se è in grado di governare gli eventi, prevedere gli imprevisti, superare le crisi. La Politica è tale se sa ascoltare, comprendere, osservare. Insomma, la Politica è un’arte con sue specifiche peculiarità, con sue particolari caratteristiche, con forme e materiali di difficile lavorazione. Niente a che vedere col Potere con la P maiuscola. Che cosa c’entra tutto questo con Pasolini? C’entra moltissimo, perché le sue furono e sono idee corsare, anticonformiste, non scontate, non di moda e che vanno controcorrente, capaci di scandalizzare e di lavare i panni sporchi pubblicamente.
Nel 1968, in occasione dello scontro a Valle Giulia tra gli studenti e i poliziotti, Pasolini – forse l’unico tra gli intellettuali di quel tempo – si schierò dalla parte dei poliziotti scrivendo le seguenti testuali parole: “Quando ieri a Valle Giulia / avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”. E si schierò con la linea intrapresa dai combattenti per i “diritti civili”. A tal proposito, Pier Paolo Pasolini scriveva: “I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri”. Parole semplici che colpiscono il cuore e la mente di chi le ascolta e sa ascoltarle. E sono parole vive per la forza interiore che riescono a sprigionare. È stato ed è, nell’immaginario, l’interprete dell’alterità e della diversità.
È lo scrittore della vita vissuta e delle macerie umane, il poeta del cristianesimo laico e anti-clericale, lo scrittore del “sacro”, il narratore degli ultimi e degli emarginati, il regista dell’eresia e della denuncia, alla ricerca delle verità. Contro il Potere e il Palazzo. “Fin che il “diverso” vive la sua “diversità” in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli viene assegnato, tutto va bene”, scriveva proprio Pasolini nel 1975 nelle sue Lettere luterane, “e tutti si sentono gratificati della tolleranza che gli concedono. Appena egli dice una parola sulla propria esperienza di “diverso”. Si scatena il linciaggio”. È un riflesso. Anzi, è il riflesso del Potere. Come oggi.
Aggiornato il 14 dicembre 2021 alle ore 13:32