Visioni. “Squid Game”: il lieto fine non è contemplato

Squid Game è da tempo un fenomeno globale. La serie tivù più vista di sempre su Netflix è ora disponibile nel doppiaggio in italiano. Il racconto audiovisivo ideato dal regista e sceneggiatore sudcoreano Hwang Dong-hyuk è un dramma della sopravvivenza. Il titolo fa riferimento a un popolare gioco per bambini coreano che utilizza una tavola a forma di calamaro. Ma non c’è innocenza nella sfida mortale narrata. La serie tivù mette in scena le vicende di un gruppo di 456 disperati disposti a tutto per vincere il montepremi stellare: 45,6 miliardi di won, circa 33 milioni di euro. Le donne e gli uomini che partecipano al “gioco” versano in condizioni economiche disastrose. I concorrenti si rendono presto conto che, nonostante la giocosa apparenza, gli innocenti giochi per bambini costituiscono delle vere e proprie sfide in cui il termine “eliminato” viene inteso nel suo significato letterale. Così Squid Game, in nove intensi episodi, rappresenta un’autentica discesa negli inferi. La serie richiama e cita la saga di Battle Royale che di Hunger Games.

La scansione narrativa attraverso i giochi è incalzante. Il disincanto del loser è invece quello tipico dei migliori noir. Il protagonista, Seong Gi-hun (interpretato da un superbo Lee Jung-jae), è un 47enne pieno di debiti, lasciato dalla moglie, ha una figlia di cui ha perso la custodia e una madre malata. Attraverso la prospettiva dell’uomo vediamo l’orrore. Sorprende, sin dal primo episodio, la capacità di approfondimento dei personaggi. Il ritmo, inizialmente, lento e ipnotico, e poi frenetico, riesce a coinvolgere lo spettatore, avvincendolo a una storia che, seppure improbabile, conserva la forza di una dimensione spettrale.

Nell’universo di Squid Game l’unica regola possibile è restare vivi. Ma secondo Hwang Dong-hyuk, anche in una condizione alienata del Mors tua vita mea, è possibile suscitare il sentimento della solidarietà. Seong Gi-hun, infatti, è capace di mettere insieme una squadra bislacca che si basa sul mutuo soccorso. È questa la forza del racconto: la fedeltà al realismo. L’ambientazione rifugge, volutamente, un futuro distopico per concentrarsi sulla contemporanea società sudcoreana. Da una Seoul di anonima e terrificante vulnerabilità si arriva su un’isola teatro di una violenza indicibile. Il “lieto fine” non è contemplato. Non esistono vincitori. Ma solo vinti. Perché sopravvivere all’orrore può trasformarsi in un incubo perpetuo.

 

 

Aggiornato il 10 dicembre 2021 alle ore 14:58