William Shakespeare: “Amleto”

Personaggi della civiltà

Nel castello del re di Danimarca, di notte, ai Guardiani appare un fantasma. Ne informano Orazio, amico del principe Amleto, del quale il fantasma ha le paterne sembianze. Amleto, avvertito da Orazio, vede anch’egli il fantasma: sì, è il fantasma del padre, che lo invita a parlargli da solo, e gli rivela. Gli rivela quanto sconquasserà l’esistenza dell’intera famiglia reale e dei prossimi alla famiglia. Gli rivela che la madre di Amleto e il fratello del padre, ora diventato sovrano, furono amanti e lo uccisero. Amleto deve vendicarlo. Amleto per convincersi che non venga da un sogno quanto vede e ascolta, allorché una compagnia di teatranti giunge nel palazzo reale, le fa recitare il delitto sul padre, dal comportamento degli spettatori saprà chi lo ha ucciso. Il nuovo re, è sconvolto. Ecco l’assassino, il quale ora si ingegna per colpire Amleto, che a sua volta uccide Polonio, padre di Laerte e Ofelia, la quale si considerava promessa sposa di Amleto. ormai ben lontano dal pensare all’unione. Parlando con la madre, Amleto, ritenendo che dietro la tenda vi sia il re, lo trafigge. Invece è Polonio ad essere ucciso, Polonio che lo spiava su ordine del Sovrano.

Ofelia, respinta da Amleto, con il padre colpito a morte, il fratello Laerte distante, si uccide. Torna Laerte, sa dal Re che Amleto ha colpito a morte il padre Polonio, combinano insieme un duello contro Amleto, affinché, in ogni caso Amleto venga tolto di vita, avvelenano una spada e preparano bevande avvelenate. Nel tumulto del duello Amleto e Laerte cambiano arma, si feriscono avvelenandosi, moriranno, morirà anche la madre di Amleto che beve dalla coppa infettata, morirà anche il Sovrano colpito da Amleto. Su tanti e tali cadaveri metterà conclusione Fortebraccio, figlio del re di Danimarca che era stato sconfitto dal padre di Amleto.

Come vivere? Come agire? Come reagire? È male combattere il male con il male, opporre delitto a delitto? C’è qualcosa di assolutamente imperdonabile? Amleto insiste fino all’ossessione nell’accusare la madre di unirsi a chi diede morte al coniuge, lo angoscia più che dell’assassinio del padre. In Amleto il vero delitto è compiuto dalla madre non per il delitto del padre di Amleto ma per l’essersi subito data ad un altro uomo. È la gelosia verso la madre non la morte del padre a sconvolgere Amleto. Ma nello stesso tempo, se il nostro mondo è un mondo nel quale una donna può unirsi in fretta ad un altro uomo che le ha ucciso il coniuge o comunque unirsi rapidamente ad un altro uomo, non c’è niente di cui essere certi, può accadere ogni assurdità, Amleto perde fiducia nel genere umano e nelle vicende umane. Che significa continuare a vivere se la vita si storce tra siffatta umanità? Anche la vendetta perde sapore. La vendetta era connaturata alla società del tempo, rispondere all’offesa era segno di onore. Si porgeva un colpo di spada non la guancia. E invece Amleto dubita sul da fare. Dubita perché teme il castigo eterno, se uccide? Dubita perché in fondo non gli importava del padre? Dubita perché dovrebbe colpire anche la madre? Certo! Ma dubita perché gli uomini l’hanno deluso. Che vale uccidere l’uccisore quando l’umanità detiene persone come la madre che si stringono all’uccisore del coniuge a letto caldo? La rapidità del passare da un uomo all’altro disgusta Amleto. Non è il caso di vivere.

Sebbene un’opera valga nell’insieme, vi sono momenti particolarmente espressivi, in “Amleto”, rilevanti nella letteratura universale. Colpito dalla conoscenza dell’uccisione del padre e che la madre e il fratello dell’ucciso sono gli assassini, Amleto dovrebbe, deve vendicare il padre. Ormai nei tumulti della frastornante condizione umana, esposta a situazioni tanto irregolari, Egli considera perché mai non ha l’impulso immediato ad agire. È il famosissimo brano: “Essere o non essere, quello il problema”. Infatti, morire o non morire, è il vero problema. Ma non si tratta, per Amleto, del vivere o non vivere, piuttosto di quel sarà di noi dopo la morte. Se temiamo che esista una punizione dei nostri delitti, diventiamo incapaci di agire, perdiamo l’impulso alla vendetta, alla reazione vitale e finiamo con il sopportare le offese, e la ragione ci fa vili, conclude Amleto. Si che la possibilità di un’anima immortale finisce con il rovinare l’ardimento vitale. Un ulteriore momento celeberrimo lo si ha quando Amleto scorgendo scavatori di fosse nel cimitero, è il luogo dove verrà sepolta Ofelia, si avvede di un teschio, è quello di un giullare di corte, Yorick, ridotto un osso nudo, e fu uomo inventivo, divertente, vissuto per dare allegria, adesso di tutta quella giocondità rimane un teschio e qualche impasto di argilla di carne e terra. È in tal modo che William Shakespeare coglie l’esistenza, il Nulla inspiegabile dell’Universo, il niente delle vicende umane, follia nobile e delittuosa durante la vita.

Otello

Anche Otello viene deluso, e nel punto più essenziale, l’amore della sua sposa, Desdemona. Capitano valente ai comandi della Repubblica Veneta, la quale spadroneggiava nei mari con le armi e i commerci, di pelle scura, ricompensato con un governo, a Cipro, sempre agli ordini di Venezia, Otello giunge anche al matrimonio con Desdemona, l’aristocratica Desdemona, la signorile Desdemona, la bianca Desdemona. Stavolta il male, che ha compimenti satanici ma del tutto incarnate nell’uomo, l’amore fiducioso e spontaneo, non lo accetta. Il male avversa l’abbandono vicendevole appassionato di Otello con Desdemona, gli dà bile, meno che mai sopporta la suprema carica di Otello, il quale, oltretutto, appunto, ha quell’ornamento prezioso del potere che è una donna bella e di rango. Si che, il serpigno Iago, ecco il nome dell’invidiante malvagio, trama per instillare in Otello, forte quanto credulo, il dubitoso sospetto che Desdemona lo tradisce, amante di Cassio. Iago finge di non dire, accennando, scopre coprendo, fa capire e non continua, si dichiara incerto, al dunque Otello vorrebbe, deve sapere. Desdemona, pura, colombella, interviene su Otello in favore di Cassio, per vicende che lo danneggiano. Ecco la prova! La mente semiaccecata di Otello chiude la trama: se Desdemona chiede del bene per Cassio è perché lo ama. Tutto si spiega. Iago è onesto.

Un fazzoletto che Otello consegnò a Desdemona, preso dalla consorte di Iago che ha occupazione da Desdemona, serve allo scopo infame di Iago, farlo trovare in possesso di Cassio come gli fosse stato donato da Desdemona. Otello chiede del fazzoletto a Desdemona, lo richiede, urla, comanda, Iago gli ha rivelato che quel fazzoletto lo tiene Cassio. Ecco un’altra prova, capitale, la condanna a morte di Desdemona. Il disgraziato Otello sospetta di Desdemona non di Iago. Mentre Desdemona sta per chiudere con il respiro la vita, e le mani di Otello la soffocano, la moglie di Iago grida gli inganni di Iago. Otello pazzo di dolore per aver ucciso chi amava, pazzo per avere ucciso chi lo amava, Desdemona, l’innocente, di fronte ai messaggeri veneziani giunti per togliergli il comando, si uccide.

Sempre, in Shakespeare, vi è lotta di potere, vi sono tutte le passioni, ma le lotte per il dominio, le ambizioni in conflitto sono onnipresenti. Talvolta, messe a nudo, confessate, animate, proclamate. Così in Riccardo III. Maggiormente in Macbeth. Riccardo è deforme, brutto di corpo al punto che vedersi con tale aspetto gli sforma la mente, e egli vuole dominare chi di certo lo deride. Che egli uccida per conquistare regalità è inevitabile, né ha scrupoli a compiere delitti a tal fine, se ne fa anzi determinazione volontaria, il male altrui per il bene proprio è una meta coscientemente stabilita in molti personaggi di Shakespeare. Di questa sarabanda, Macbeth è il protagonista abissale, anzi la consorte, Lady Macbeth. Si tratta, ancora, della regalità, conquista che non evita. se occorre, il delitto. Lady Macbeth è decisa a sovranizzarsi con ogni mezzo, re Duncano, Banco vengono uccisi, e anche dei fanciulli, il sangue goccia dalle mani rosse di Macbeth, che non è adeguato ai suoi delitti giacché ne sente colpa, e subito trema per aver compiuto le uccisioni. La superstizione lo afferra, chiede alle Streghe se mai perderà il regno, le streghe lo confortano, sembra, poiché gli rivelano che non sarà vinto fin quando una foresta non moverà contro di lui. Si conforta il pavido assassino, ritiene che mai una foresta si muoverà. Invece si muove, i nemici di Macbeth tagliano tronchi e rami e fronde perché i combattenti se ne mascherino. La foresta cammina! Lady Macbeth si uccide, vedeva sulla nano una macchia di sangue incancellabile per quanto la detergesse. Morta Lady Macbeth, la vita a Macbeth non importa. Ritrova qualche ardimento per combattere, e morire,

Queste sconfitte dei malvagi non devono illudere. Non vi è, in Shakespeare, il minimo posto per il trionfo del bene sul male. Non una Provvidenza che ripari le vicende dell’uomo giusto, termine conclusivo della storia, di un giudizio finale, di un dio o di qualche diavolo. Tutto si svolge tra gli uomini, neanche la Natura ha rilievo, in Shakespeare, l’uomo è l’amico/nemico dell’uomo, in un deserto, la nostra vicenda si svolge nella vita, il dopo morte è ignoto, scrutarlo indebolisce l’uomo più che confortarlo, giacché potrebbe essere luogo di dannazione, e l’uomo temerebbe di agire per angoscia della condanna. Scatenandosi interamente nella vita, affrontando ad occhi aperti e duri ogni concepibile tragedia: figli contro padri, assassini di infanti, di coniugi, traditori, amanti capaci di morire per amore, e tanto marasma pur sapendo che tutto finirà nel nulla, ma finché c’è la vita ogni atto contribuisce a far girare la ruota degli eventi. A quale scopo? A vivere più che possibile. A quale fine? A vivere. Perché vivere. Perché siamo vivi. E sentirsi vivere è lo scopo della vita, più che dell’uomo, della vita che scorre nell’uomo in quanto esiste, di cui l’uomo è una particella cosciente e vana.

Shakespeare aveva dell’esistenza vita una concezione, un sentire tragicissimo, All’orizzonte stava la morte, vale a dire il Nulla e il Niente, Nulla è l’insieme indecifrabile di tutto ciò che esiste, Niente quel che sopravviverà dell’umanità e dei singoli, niente, appunto. Ma, dicevo, esiste la vita, e la vita, per Shakespeare, di solito la viviamo: desideri, passioni, ci rendono vivi, ci spingono a vivere. E perfino a godere, a divertirci. Anche a divertirci di chi vuole vivere impropriamente come può tentare un vecchio che intende spavaldeggiarsi come giovane. E viene preso a riderne da parte di giovani, i quali, nella festosità vitale della loro giovinezza, dimenticano che invecchieranno e, comunque, si godono la giovinezza. Le allegre comari di Widsor, un’opera divertente, e dolente, di Shakespeare, proviene da questa opposizione complementare. Sir John Falstaff coraggioso combattente e “sottile” nei tempi giovanili ora grosso e di età non crede che il suo potere attrattivo sia cessato, si che tenta seduzioni verso donne che mutano queste aspirazioni in gioco per loro su Falstaff. È un perpetuo promettere e deludere, fingere di cedere e ingannare.

Falstaff non si convince d’essere beffato, troppo fiducioso di sé, quando deve riconoscere che viene preso a riderne, avvolge tutti nel gran vortice della sorte umana, che beffa beffatori e beffati. Giuseppe Verdi, amantissimo di Shakespeare, del quale, a mezzo di librettisti, in specie Arrigo Boito, musicò testi, scrisse per sua estrema opera lirica Falstaff, e, da artista tragico quale era anch’Egli, erdi colse, in questo dramma umoristico, per dire, la malinconia della vita che non si rassegna a rinunciare a vivere, offrendosi al ridicolo, ma tant’è, nel ridicolo ci siamo tutti. Giovani e vecchi. Le opere di Shakespeare sono estese come la Via Lattea.

Aggiornato il 03 dicembre 2021 alle ore 15:45