“Nowhere Special”, la vita in una memory box

Com’è il mondo di qua e al di là del vetro? Come ti senti tu, in particolare, quando un Dio bastian contrario ti impone di contrattare anzitempo con Caronte il passaggio nell’Ade, sapendo che le tue cellule impazzite faranno di te un padre per sempre assente, malgrado i tuoi bellissimi trentatré anni e un aspetto da Dio Apollo? Ce lo spiega, ispirato a una storia vera, un gran film di emozioni profonde, ricco di primissimi piani giganteschi e sconcertanti, “Nowhere Special”, del regista Uberto Pasolini (distribuito dalla Lucky Red e in uscita nelle sale dall’8 dicembre), con protagonisti John (James Norton) e un divino bambino, Michael (Daniel Lamont), il suo figlioletto di appena tre anni. Un ometto, saggio ed equilibrato, abbandonato a pochi mesi di vita dalla mamma, fuggita in Russia, la sua patria, perché incapace di rimanere accanto al suo compagno, colpito da un male che non perdona.

Così, Thanatos ed Eros si stringono la mano mentre camminano lenti e disciplinati lungo le stradine di una cittadina dell’hinterland londinese, attraversando gli isolati di villette e di giardini ben curati, perennemente con i vetri sporchi e qualche volta messi troppo in alto perché il lavavetri John abbia la forza di raggiungerli con la sua scala modulare a pioli. Pulendo i vetri di tante case, alte, basse, povere e ricche, si ha modo di dare una furtiva occhiata verso gli interni delle abitazioni, soprattutto in quelle dove i segni della presenza di un’infanzia felice si fanno tangibili e colorati. Proprio quelli in cui un padre giovane e morente vorrebbe sistemare in adozione la sua creatura, un figlio che gli dà la forza di vivere il più a lungo possibile, malgrado la scadenza sempre più ravvicinata dei suoi giorni terreni.

Nowhere Special” è il racconto della peregrinazione di questi due pellegrini speciali, che bussano alle varie case delle famiglie candidate all’adozione da una macchina autoreferenziale dei Servizi sociali, che si esalta attraverso le sue pratiche di auto affermazione del proprio potere e del sistema che la contraddistingue, creato per gestire le interfacce tra un Eros orfano potenziale e una casistica di famiglie-tipo abilitate all’accoglienza. E proprio queste ultime, ritratto del mondo attuale, sono a loro volta affette da tare, disturbi ossessivi, complessi e coazioni a ripetere, che le fanno rassomigliare a tanti nidi sbrecciati dove spira forte il vento del disagio di coppia, mascherato da finto altruismo o da ridicoli riti d’amore.

Come quello di alzarsi di notte assieme al compagno che deve fare pipì o, incuranti dell’obesità di entrambi, mangiare torte fatte in casa facendo discorsi demenziali davanti a padre e figlio, che osservano attoniti e sconcertati. Infatti, tutti scatteranno come un solo uomo dietro al giovane padre quando se la prenderà fuori dai denti, non potendone più, con le due assistenti sociali, l’anziana e la giovane (decisamente più umana della sua superiora), chiedendo che “fuck” di sistema sia mai quello che seleziona simili famiglie alle quali affidare Michael per il resto della sua vita?! La dittatura delle procedures, bontà loro, ha fatto di John uno… special case, al quale sull’impronta sono state adattate procedure d’urgenza mai sperimentate prima, perché stavolta il tempo si fa ogni giorno più scarso e tiranno per trovare una soluzione a questo Eros mutilato, prima che arrivi Thanatos.

Così, la maggior parte delle scene sono monopolizzate da questa coppia inseparabile, sempre mano nella mano nel cammino verso la scuola o il supermercato, come nei giochi nel parco. Ogni cosa tra i due fa da collante: i libri illustrati per bambini molto piccoli, letti e colorati assieme; i disegni di Michael, le sue piccole ossessioni alimentari, i suoi giochi. Soprattutto un piccolo camion giallo, una sorta di oggetto transizionale che ora avvicina, ora allontana il bimbo dal padre, con i suoi carichi un po’ strambi: in un caso le bucce di banana, che segnalano un momento di rabbia da separazione del piccolo aspirante camionista; nell’altro un sacchetto di caramelle che fanno figura di un carico di pietre dolci, deposte da una mano amorevole di donna single. Anche i rarissimi capricci di bambino fortificano il quadro della normalità di un intenso, irriducibile e inseparabile rapporto padre-figlio, in cui il piccolo rifiuta di cambiarsi il pigiama, forse temendo a ragione di perdere, come un cucciolo di animale, l’odore del padre con cui spesso e volentieri, data la perenne stanchezza e debolezza di lui, si trova a passare disteso molte ore di riposo. “Nowhere Special” è, però un film di umanità sottile, in cui figure apparentemente minori, come un meccanico o un’anziana, deliziosa vedova, Rosemary, giocano un ruolo determinante per lenire gli ultimi mesi di vita di John.

Ed è proprio Rosemary, con l’aiuto di uno scarabeo morto trovato nel parco, a offrire a John l’idea su come spiegare a suo figlio la sua definitiva, involontaria assenza perché, in effetti, l’anima non sta sottoterra come le spoglie mortali che l’hanno abitata in vita, ma nell’aria, nelle vibrazioni mute che accompagnano i gesti e l’uso delle cose una volta condivise. Così, che cosa c’è di meglio di una Memory box che contiene oggetti, lettere e volontà messe per iscritto dal padre e che dovranno essere consegnati o rivelati nel tempo a suo figlio dai genitori adottivi, man mano che matureranno le età giuste, come i diciotto anni per la patente. Una scatola anonima, quindi, per dare un’idea dei lontani legami biologici documentati da quell’unica foto nascosta in un paio di guanti molto femminili, che ritrae un bimbo appena nato in braccio alla sua madre biologica che, probabilmente, è destinato a non rivedere mai più. Non è poi difficile indovinare chi sceglierà un John appena in grado di sostenersi, per dare una famiglia degna al piccolo Michael: basta farsi aiutare dalle giuste congiunzioni astrali.

Aggiornato il 30 novembre 2021 alle ore 10:59