Personaggi mitologici: Dedalo e Icaro

Personaggi della civiltà

Mito grandioso, tragico, altamente significativo quello di Dedalo e del figlio Icaro. Forse nato ad Atene, scultore, per un delitto contro un nipote, della cui capacità Dedalo pare fosse invidioso, si reca a Creta, dal Re Minosse, concepisce con la schiava Naucrate il figlio Icaro, forgia la vacca di legno nella quale si colloca Pasifae, sposa di Minosse, ardente di voglia per il Toro sacro. Dall’unione viene l’orrendo Minotauro, torouomo, che Minosse serra nel Labirinto, fatto da Dedalo, da cui è impossibile uscire. Minosse però temendo che Dedalo possa rivelare l’uscita del Labirinto vi chiude anche Dedalo ed Icaro. Ma l’inventivo Dedalo, con penne unite alle spalle dalla cera vola con il figlio, ed il volo umano, una delle aspirazioni supreme dell’umanità, è attuato.

Volano, e fuggono, e si inebriano di spazio, Icaro si esalta a tale grado del volo che si inoltra, si inoltra, lontano, ancora più lontano, ancora più lontano, fino al Sole, alla sommità del cielo, lassù, lassù, ma la debole cera, che non è al pari dell’ardimento di Icaro, si scioglie. Così Icaro precipita. Vi è un limite al potere dell’uomo. Dedalo si stabilisce in Sicilia, poi in Sardegna. È considerato colui che suscita nell’uomo varie abilità artigianali. Ma resta chi fece il labirinto, dove l’uomo entra e non coglie uscita. Sarà, è il Labirinto, il dedalo, tra i modi rappresentativi della condizione umana, gli uomini: sperduti, senza uscita. Mentre Icaro rappresenta la “caduta” di che non accetta i limiti umani. Ma rappresenta pure che è bello, necessario, spaziarsi, osare, salire, volare.

I Miti della Morte e della Resurrezione in Grecia

La Grecia concepì miti sull’immortalità, sul Regno dei morti, sull’aldilà. A parte i filosofi che diedero rilevanza all’anima sebbene la considerassero reincarnata al modo induista o egiziano, come suppose Pitagora, o posta nell’Iperuranio, come suppose Platone, il Regno dei morti vero e proprio, con un Sovrano, con le Anime o quel che resta dell’uomo ha tra i suoi miti fondamentali quali attori Plutone e Proserpina. Plutone è il Dio degli Inferi, dove le Anime giungono per restarvi eternamente, è un regno buio, Plutone, egli stesso, ha talvolta bisogno di luce, il contrasto luce-oscurità è fondamentale nei miti dì oltretomba. Sulla Terra Plutone scorge una meravigliosa fanciulla in atto di raccogliere fiori, costei è Proserpina, figlia dilettissima di Cerere, la Dea delle messi, della fioritura, della fruttificazione. Subito, l’invaghito Plutone la stringe recandola nel suo tenebroso sottosuolo, sovrana di un Regno da Proserpina certamente non richiesto. La pena di Cerere fu estrema, la civiltà greca si distingue tra tutte le civiltà per l’estremizzazione delle passioni, Dei, uomini non comprimono né la gioia né il dolore, gli Dei piangono o gioiscono umanamente e gli uomini soffrono e godono al modo degli Dei, il corpo non è disgiunto dall’anima, sono afflizioni del tutto umane: amore, desiderio, vittoria.

Cerere piange, invoca, cerca, infine sa del rapimento, scende nel Regno dei morti, implora il Sovrano perché le venga ridata la dilettissima figlia, e perviene ad accordi con Plutone, sei mesi Proserpina starà sulla Terra, sei mesi nel sottoterra. E così la Natura che era avvilita, appassita giacché Cerere, addolorata, la trascurava, riluce nelle stagioni primaverili ed estive; allorché Proserpina torna agli Inferi e nelle nere braccia di Plutone, la Natura perde colori e animazione e reclina se stessa, si sfoglia, si macera, fino al ritorno di Proserpina che le ridà colore. E con queste fantasiose concezioni che gli antichi risolvevano la comprensione dei fenomeni naturali e dell’esistenza umana. Le religioni successive inventeranno altre spiegazioni mitologiche, ad esempio: perché l’uomo fatica a sopravvivere ed è mortale? Perché Adamo, nella concezione ebraico-cristiana contravvenne ai comandamenti di Dio.

Un mito collaterale alla vicenda di Proserpina riguarda Euridice, amatissima da Orfeo. Orfeo è la riproduzione mondana di Apollo. Il canto di Orfeo, accompagnato dalla Lira, avvince l’intero creato, perfino le fiere bestiali che sbranano agnellini indifesi e ingenui ascoltano i canti e i suoni di Orfeo e diventano carezzabili e incantati, e gli alberi, e l’erba, ed il vento ascoltano Orfeo, il quale non si gloria, anch’egli perduto nel suo canto e nell’amore per Euridice. Ma la bella favola ha in serbo un mostro, anche stavolta un serpente, una vipera, che il giorno delle nozze di Orfeo con Euridice morde ed avvelena la gioiosa fanciulla uccidendola. Il canto di Orfeo diviene pianto, anche egli, come Cerere, ramingo, affranto, pensa la donna amata e sente che gli manca.

L’amore pure in questa vicenda sembra vincere ogni ostacolo, ed è tale la tristezza di Orfeo che commuove tutti e gli è permesso di scendere vivo nell’Aldisotto, commuove perfino gli esseri inferi e Plutone e specialmente Proserpina, che ben conosce il dolore per amore. Orfeo avrà Euridice! Orfeo avrà Euridice, ma non deve volgersi nel cammino verso la luce, la terra dei vivi. Orfeo innanzi, Euridice appresso vanno alla Terra dei vivi. Orfeo non si volge, Euridice lo segue. Orfeo non si volge. Euridice lo segue. Orfeo non si volge. Euridice lo segue. Ma lo segue veramente Euridice? Orfeo non si volge ma dubita che Euridice lo segua. Orfeo non si volge, ma dubita che Euridice lo segua. Orfeo si volge. Appena il tempo per cogliere che Euridice svanisce. Con la scomparsa di Euridice per Orfeo sparisce la vita. Diverrà incupito, nemico delle donne. Che lo faranno a brandelli. Iratissime di venir trascurate.

Aggiornato il 15 novembre 2021 alle ore 15:18