Il 25 novembre 2013, alle 2 circa, è venuto a mancare, dopo una settimana di ricovero per un blocco renale cagionato da un insulso incidente di percorso, il dottor Benito Meledandri, la cui storia anamnestica era stata caratterizzata dall’assenza di problemi di salute. Benito Meledandri ha vissuto anni di una vita intensa e parlare di Lui significa parlare della Sanità italiana, nell’epoca della crescita di un Paese, che nel Dopoguerra aveva bisogno di riforme, certezze, normativa adeguata e contratti che tutelassero il Popolo, i malati, i lavoratori.
Sono la minore dei suoi tre figli, due operanti in ambito sanitario. Mio Padre, nativo di un borgo nei pressi di Macerata, San Ginesio, quando nacqui era già un uomo nel pieno della sua maturità. Lui, classe 1927, superata la guerra si trasferì a Roma, dove decise di mettere su famiglia. Pur dedicandosi a mille attività che lo portavano spesso fuori, lavorò sia professionalmente che istituzionalmente, fino alla fine dei suoi giorni nella Città Eterna. Medico, specializzato in Igiene, laboratorista dal piglio imprenditoriale, dedicò la sua vita alla costruzione della Sanità pubblica, preferendola all’accumulo di denaro, che una scelta volta a prediligere la sola professione poteva all’epoca prospettargli.
Era un uomo di valori, di sogni lucidi, di ideali; concreto, immaginava un mondo migliore, pensando sempre in positivo, al futuro, a far crescere nuove leve cui affidare a sua volta progetti e la realizzazione degli stessi. È stato tra i padri fondatori del Sumai, il Sindacato italiano dei medici ambulatoriali, che rappresenta nella specialistica italiana circa il 75 per cento dei medici operanti sul territorio. Operò con altri illuminati colleghi la riforma del Sistema italiano nazionale del 1978, battendosi per una Sanità pubblica, sintomo del welfare di una Nazione. Come sindacalista rammento il coraggio delle sue battaglie per la categoria rappresentata, la capacità di mediare, ma anche di prendere iniziative forti. Ricordo una grande manifestazione di medici tanti in camice, anche lui, come capofila per contrastare riforme vessatorie, che da piazza Esedra si snodava per il centro.
Presidente dell’Ordine nazionale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Roma per quasi un ventennio, si occupò di deontologia, formazione, riconobbe valore scientifico all’omeopatia e all’agopuntura. Divenne quindi segretario della Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, organo di controllo di tutti gli Ordini d’Italia coadiuvante lo stesso ministero della Sanità, si impegnò e lavorò incessantemente non limitandosi a un focus solo su Roma, ma all’Italia intera: armonizzare tante città e regioni non è certamente una questione semplice.
Infine, il suo lunghissimo impegno come consigliere della Fondazione Enpam, Ente di assistenza e previdenza di medici e dentisti, ove la pensione degli iscritti, l’Amministrazione del patrimonio immobiliare e mobiliare della più grande Cassa d’Italia fu al centro dei suoi obiettivi. Riteneva con il suo contributo di supportare una squadra ad assicurare il patto tra generazioni: il pagamento delle pensioni, l’assistenza a situazioni di disagio e difficoltà. Riceveva sempre tutti, usava dare del “tu” ai colleghi, detestava tutto ciò che fosse segno esteriore di “potere”, amando la semplicità. Quando venne meno, articoli, telegrammi, telefonate da ogni parte: era scomparsa una colonna vera, un esempio valoriale per tutti.
Rifletto sulla Sanità di oggi, ai tanti mali da cui è affetta, agli scarsissimi esempi di coraggio, coerenza e costruzione ancora viventi. A come i nostri medici si sono trovati nella pandemia, ai loro disagi, a chi è morto in prima linea, ai contratti dei vari comparti non rinnovati o rinnovati dopo troppo tempo, a ruoli ricoperti con scarsa partecipazione e con modestissime capacità. Eppure, quest’uomo di quanti fu virtualmente fratello e padre? Mi viene in mente il canto... di Dante dedicato a Ulisse, nell’Inferno… “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza” (confronta Versi 118-120, Canto XXVI dell’Inferno, Divina Commedia). Certo la sua discendenza per tanti aspetti, sebbene aiutata a crescere e a trasmettere delude, come la riconoscenza, il rispetto e il ricordo per chi non è più su questa terra e non può interagire. Ma questa è faccenda normale, fa parte della miseria dell’essere umano, che invece di apprendere da chi ha ideali e doti umane cerca, per paura del confronto, addirittura di cancellarne la memoria. Evolvere costa fatica, come fare battaglie, mettere da parte se stessi per donare agli altri, lasciare un segno. Sicuramente i pensieri, i principi che non periscono con la fine della vita terrena. Il punto è chi sia in grado o desideri realmente portarli avanti.
Questo Paese è sempre più povero di esempi da seguire, in tuti i campi, anche i nostri giovani se ne fuggono all’estero, perché non credono più a una Italia dove pochissimi volontari, spesso osteggiati e perseguitati, cercano nei vari campi di rendere vivi i nobili principi che sulla carta enunciano, ma che in realtà, con la loro condotta, appena approdano ad una poltrona sono solo capaci di disattendere.
Aggiornato il 08 novembre 2021 alle ore 16:32