Visioni. “Madres paralelas”, un appassionato melò antifranchista

Un’appassionata riflessione sul presente e sul passato in chiave fieramente antifranchista. Nel suo ultimo film, Madres paralelas, Pedro Almodóvar racconta la storia di due donne, la quarantenne fotografa Janis (un’intensa Penélope Cruz, Coppa Volpi a Venezia) e la minorenne Ana (Milena Smit) che si trovano a partorire nello stesso ospedale. Condividono la stessa stanza, le medesime preoccupazioni. Molto tempo dopo Janis, attraverso l’esame del Dna, scopre che la propria figlia è stata scambiata con la figlia dell’amica. I rapporti che hanno determinato i due concepimenti sono diametralmente opposti e diversamente dolorosi. Janis intreccia una relazione con Arturo (Israel Elejalde). L’uomo è un antropologo forense, a cui Janis chiede di scavare nel sito di una fossa comune dove potrebbe essere stato seppellito il suo bisnonno, desaparecido all’epoca della Guerra civile spagnola. Ana è stata vittima di un caso di revenge porn. Janis, in omaggio a Janis Joplin, è un’eroina splendente, un insieme cromatico che riesce a divorare il nero, elaborare il lutto, fare i conti con il passato e guardare con speranza al futuro. Ana è una figura quasi ieratica. Un volto angelicato che sublima il male, perennemente protesa verso il domani.

L’universo almodóvariano omaggia apertamente il cinema di Douglas Sirk e Rainer Werner Fassbinder. Il melodramma intreccia sapientemente il privato al pubblico, il sentimento di sofferenza personale alla tragedia collettiva di una nazione. Come sempre, nel cinema del regista spagnolo, il motore narrativo, della piccola storia (e della grande storia) è rappresentato dalle donne. Sono loro l’alba e il tramonto, l’inizio e la fine. L’uomo è un espediente narrativo. Uno strumento dell’azione scenica.

La ricerca del Dna è la vera metafora del film. Per scoprire l’identità di una figlia. L’identità di una nazione che non riesce a ritrovare i propri padri e che può contare solo sulle madri. Per queste ragioni, in Madres paralelas il cineasta sceglie di raccontare una storia di madri che governano la famiglia. D’altro canto, i padri, sono assenti: rapiti, uccisi o irresponsabili. Il finale del film, tra lacrime, abbracci, sorrisi e rituali, è il più politico del cinema di Almodóvar. È guidato dalla legge della “Memoria histórica” approvata alla fine del 2007 dal Governo Zapatero per restituire a un popolo i propri morti. Per riconoscerli e piangerli. Con una citazione di una frase dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: “Por mucho que se la intente silenciar, la historia humana se niega a callarse la boca” (“Per quanto si tenti di ridurla al silenzio, la storia umana si rifiuta di tacere”).

 

Aggiornato il 05 novembre 2021 alle ore 20:15