“L’incerta fede”: indagine controcorrente sulla religiosità in Italia

A più di 20 anni dall’indagine del 1995-1996 sulla “Religiosità in Italia” (i cui risultati furono pubblicati da Vincenzo Cesareo, Roberto Cipriani, Franco Garelli, Clemente Lanzetti e Gianfranco Rovati), Roberto Cipriani, professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, dov’è stato Direttore del Dipartimento Scienze dell’educazione dal 2001 al 2012, ha svolto un’altra ricerca a largo raggio su questo tema, realizzata nel 2017 e rielaborata poi per 3 anni. Ricerca cui hanno contribuito anche il sociologo Franco Garelli, e (con una nota metodologica) l’altro ricercatore Gianni Losito. L’indagine, “L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia”, è stata pubblicata dalla Franco Angeli (Milano, pagine 499, 30 euro, prefazione di Enzo Pace).

“L’approccio alla materia – spiega lo stesso Cipriani – non è stato solo quantitativo (mediante somministrazione di un questionario a un campione statisticamente rappresentativo della società italiana, fatto di 3238 intervistati, scelti in base a criteri come titolo di studio, sesso, età, residenza). Ma anche qualitativo: mediante interviste del tutto libere (dove, cioè, gli intervistati potevano esprimersi “a ruota libera” sulla propria esperienza di vita, senza domande predefinite né temi specifici) oppure, invece, semi-guidate, a un insieme di 164 soggetti, scelti anch’essi sul territorio nazionale con criteri non lontani dal complessivo quadro demografico”. Ne è scaturita una “fotografia” del rapporto tra gli italiani e la religione che può fornire utili indicazioni anzitutto a una Chiesa cattolica che, dal 2020, per volere di Papa Francesco ha avviato un’importante riflessione sinodale, che interesserà gradualmente tutte le diocesi.

Ma quali temi, esattamente, ha toccato l’indagine? Anzitutto vari temi – chiave, o, per esser più precisi – dicotomie (non le chiamiamo antinomie proprio per evidenziare il margine dubitativo che, com’è logico per il pensiero moderno, caratterizza le risposte degli intervistati), come vita/morte, felicità/dolore, vita quotidiana/festiva, rappresentazione di Dio/istituzione ecclesiastica. E i temi, ancor più essenziali, del rapporto con Dio, con la preghiera e con l’istituzione religiosa. Adeguato spazio, poi, è stato riservato al giudizio su Papa Francesco I.

In sintesi, la fede degli italiani emergente dalla corposa indagine è, come anticipa il titolo del volume, una fede incerta, con consistente spazio per una cartesiana “civiltà del dubbio” e del razionalismo critico. Insomma la fede, nel nostro Paese, convive con la secolarizzazione, adottandone in certa misura, i risultati. Tra i punti “nevralgici” Cipriani, facendo il confronto con la precedente ricerca del 1995, nota che risulta cresciuto (anzi, quasi raddoppiato) il “numero dei negazionisti assoluti del “post mortem”, passati dal 10,4 al 19,5 per cento; solo il 30 per cento ritiene che dopo la morte vi sia un’altra vita. Mentre sono molto diminuiti (dal 41,5 al 28,6 per cento) coloro che, pur non ritenendo che alla morte segua il nulla assoluto, non credono alla possibilità di un’altra vita; ma sono leggermente cresciuti (dal 3,7 al 4,4 per cento: dato che ascriviamo all’influsso, anche in Italia, delle filosofie orientali o dell’ambigua “New Age”) i reincarnazionisti.

La credenza in Dio s’articola variamente in forme e contenuti: anzi, la percentuale dei credenti (75 per cento) supera sempre la “maggioranza qualificata” (per dirla in termini “parlamentari”), mentre sale anche quella degli agnostici e/o incerti. Ma cresce pure la percentuale degli atei dichiarati. Ma tra i credenti in Dio, la fede si divide tra gli epigoni della tesi classica d’un “Dio- persona” e quelli, invece, del “Dio-flusso di energia cosmica”, amor “che tutto move”, per dirla con Dante (le due posizioni insieme raggiungono appunto il 75 per cento degli intervistati).

I giudizi, poi, degli intervistati sulla Chiesa come istituzione evidenziano fortemente piaghe come corruzione, pedofilia, scandali politico/finanziari, scarsa moralità generale di molti ecclesiastici. Mentre, osserviamo, assai più positivo, ma anche articolato, è il giudizio su Papa Francesco: se, infatti, la maggioranza degli intervistati apprezza la sua attenzione per la povertà, e il suo rifiuto della “cultura dello scarto”, approfondendo il discorso salta agli occhi il 14,3 per cento di contrari alla linea di Bergoglio sull’immigrazione. E, più in generale, quel 54,8 per cento che lo vede più schierato sulle questioni sociali che su quelle spirituali (i consensi tornano a salire quando si parla di divorziati e di omosessuali, con l’apprezzamento alla percentuale – quasi “bulgara”, dell’80,6 per cento – delle aperture del Pontefice nei loro confronti). Con una formula di forte impatto “giornalistico”, Cipriani descrive il rapporto degli italiani col Papa in termini di “Papa da aperitivo” (nel senso della comunicatività e familiarità dei suoi discorsi), ma anche “scomodo” per i settori più conservatori della Chiesa (e qui, sarebbe interessante il confronto con l’altro Papa, anch’egli massmediatico e grande comunicatore, Giovanni Paolo II).

La domanda finale che si ricava dalla lettura di questa grande inchiesta di Roberto Cipriani e dei suoi collaboratori è quanto è cambiata la religiosità degli italiani rispetto non solo alle recenti indagini del 1996 e del 2000 (che, coordinata sempre da Cipriani, era, però circoscritta soprattutto al rapporto tra giovani, e fedeli in genere, e Giubileo). Ma, a maggior ragione, rispetto anche a indagini che fecero epoca nell’Italia del Dopoguerra (pensiamo anzitutto a un libro/inchiesta come quello, del 1957, del giovane Don Lorenzo Milani “Esperienze pastorali”: giudicato, dal religioso laico Aldo Capitini, il libro più bello mai scritto da un cattolico sugli italiani e la religione).

È cambiata moltissimo, certo, specie nell’ultimo trentennio, col pieno avvento della civiltà telematica: ma, fortunatamente, non al punto di stravolgere “in toto” il senso del sacro in Italia. La previsione finale di Cipriani per il futuro (basata sulla sua teoria della “religione diffusa”, fortemente basata sui processi di educazione, socializzazione e comunicazione) è moderatamente ottimista: pur con la grande velocità di cambiamenti che caratterizza in ogni campo i nostri tempi, nel rapporto degli italiani con la religione non c’è da aspettarsi un ritorno al passato, ma neanche un allontanamento totale, una secolarizzazione distruttiva all’insegna d’un dichiarato ateismo di massa.

Aggiornato il 04 novembre 2021 alle ore 18:14