Mahatma Gandhi, Il pacifismo combattivo

Personaggi della civiltà

Mohandas Karamchard Gandhi nasce nel 1869 da famiglia benestante nella condizione di mercanti sebbene i suoi ascendenti fossero uomini politici. Quando diverrà il fondatore dell’India sciolta dal dominio britannico verrà chiamato Mahatma, Grande Anima, e così è conosciuto universalmente. Sposò a tredici anni una ricca tredicenne, con il consueto matrimonio precoce e stabilito dalle famiglie. Studia giurisprudenza, si trasferisce in Inghilterra, gli era morto il padre e successivamente la madre, alla quale era assai legato. Una ditta indiana che svolgeva attività in Sudafrica, sotto amministrazione inglese, lo invia in tale Paese dove esiste una immigrazione indiana. Gandhi, che non aveva alcuna esperienza sociale, si imbatte nell’apartheid, la esclusione di negri e indiani da attività permesse ai bianchi, e nella discriminazione.

È la “rivelazione” che lo scuote e lo induce alle iniziali ribellioni: viaggiare dove è proibito, non accettare di venire scacciato, ricevere anche percosse ma restare disobbedienti, non reagendo violentemente. Alcune letture lo influenzano , di John Ruskin, di Herry David Tourea, e in anni successivi la corrispondenza con Leone Tolstoj. E di certo, lo influenzano aspetti del giaianismo, del buddhismo, dello stesso induismo. In India, in Sudafrica Gandhi ormai ha precisata la sua esistenza: la disubbidienza civile. Compra terre, in Sudafrica, fonda una comunità, povertà, castità, uguaglianza, lavori anche “sporchi”, si oppone a leggi che intendono schedare gli immigrati indiani in Sudafrica, a leggi che impediscono i matrimoni misti, sempre con metodi non violenti e subendo eventualmente violenza e condanne. Il risultato di queste lotte è che l’opinione pubblica coglie la non violenza di chi protesta e la violenza di chi si oppone alla protesta. Ne viene che il potere inglese cede sui matrimoni misti e su certe tassazioni agli immigrati.

Torna definitivamente in India nel 1915, fonda la Satyagraha Ashram, i membri, uomini e donne, fanno decisione di celibato, povertà, di lottare per il popolo, di comunità, di non violenta disobbedienza civile. Gandhi tuttavia si schiera per la partecipazione degli indiani nella guerra, la Guerra Mondiale del 1914-1918. Si batte per porre termine all’emigrazione indiana in Sudafrica, chiede che i contadini possano coltivare terreno per il loro sostentamento non per prodotti di esportazione in favore degli inglesi, si impegna per l’abolizione di imposte che la gente non riesce a pagare. Nel 1919 l’Inghilterra prolunga leggi che negano le libertà come se ancora vi fosse la guerra. Gandhi organizza uno sciopero nazionale. Gli inglesi uccidono degli indiani, Gandhi viene arrestato. Le sue convinzioni si ampliano, non soltanto disobbedienza non violenta a leggi ritenute ingiuste ma anche boicottaggio sia nella vita civile sia nel commercio in specie dei tessili, con l’invito agli indiani di farsi gli abiti da loro, e, fondamentale, di rendersi autonomi economicamente.

È un periodo turbolento, quello degli Anni Venti, accade un massacro da parte indiana sugli inglesi. Gandhi se ne addossa la colpa, viene condannato nel 1922. Era diventato nel 1921 presidente del Partito del Congresso nazionale indiano. Uscito di prigione si dedica a iniziative di bene sociale, igiene, povertà. Ma la questione dell’indipendenza dell’India è costante, insieme ad ulteriori problemi specifici. Rilevante quello riguardante il sale, il cui prezzo viene accresciuto. Gandhi suscita la Marcia del sale, 380 chilometri a piedi. Ne nasce una repressione da parte inglese, migliaia e migliaia di indiani imprigionati. Si giunge ad un accordo, nel 1931: il sale non è aumentato di costo, gli indiani possono boicottare i tessuti, ma cessa la generalizzata disobbedienza civile. Gandhi fa ulteriori battaglie, ed inventa, per dire, la protesta con il digiuno, poi adottata da altri “disobbedienti civili”, il caso è dovuto alla protesta di Gandhi perché i paria, gli intoccabili, erano dagli inglesi posti, nel voto, a parte, separati. Siamo agli anni determinanti dell’esistenza di Gandhi e degli scopi che si era proposti; fondamentale, dicevo, l’indipendenza.

Si avvicina il tempo della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi vuole che gli indiani si associno all’Inghilterra ma il Partito del Congresso è contrario e pure Gandhi si convince che non può associarsi all’Inghilterra che combatte per la propria libertà se l’Inghilterra non concede agli indiani la libertà. In India si forma una fazione favorevole alle dittature (Germania, Italia) in quanto nemiche dell’Inghilterra. Le reiterate richieste di indipendenza vengono respinte, vi sono anche repressioni violentissime da parte inglese e risposte violente dagli indiani, che perfino Gandhi giustifica, a tal punto gli inglesi li opprimevano. Muore la moglie di Gandhi, compagna di tutte le imprese. Infine, dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Inghilterra cede, ed è l’Indipendenza. Ma è una indipendenza drammatica. Gli inglesi avevano fomentata la contrapposizione degli induisti contro i musulmani, vicendevolmente.

Si crea il Pakistan, musulmano, separato dall’India. Sorge la questione del Kashmir, a popolazione musulmana, ampiamente, ma che infine è associata all’India. Oltretutto l’India non vuole pagare una somma che nell’accordo di separazione doveva dare al Pakistan. Gandhi esige che la somma sia data e digiuna fin quasi a morire. Il Congresso cede. Ma un fanatico induista, considerando Gandhi un traditore, lo uccide, è il 1948.

Considerazioni

Può conoscere, può definire l’uomo se stesso, e come? Molti hanno definito l’uomo o creduto di cogliere il “chi è” dell’uomo. È un animale bipede implume, come stabiliva Platone? In tal caso non si distinguerebbe dagli altri animali se non per essere implume ed eretto. Aristotele lo differenzia dagli animali, sostiene che l’uomo è un animale politico, vale a dire associato, con delle regole. Vi è chi ne rileva la razionalità, chi la moralità. E quant’altro. In generale si intende differenziare l’uomo dagli animali. Taluno sostiene che l’uomo è esterno alla Natura, l’animale interno; l’uomo agisce, l’animale è agito; l’uomo sceglie, l’animale ha determinazioni imposte dalla Natura e le compie per istinto. La divisione tra istinto e volontà libera è corrente. Ma addirittura non ci si appaga di un uomo libero di scegliere laddove un animale vivrebbe di adempimenti imposti dall’istinto.

Vi è chi solleva l’uomo quale entità oltrenaturale. L’animale sarebbe un mezzo per un adempimento determinato dalla natura, dunque l’animale non vuole, è imposto dalla natura mentre l’uomo, ripeto, ha volontà, l’animale subisce la volontà della sua natura, non può fare diversamente. Eppure, come accennavo, a taluni questa differenza non basta, l’uomo non sarebbe soltanto libero, volente e razionale, l’uomo sarebbe anche e soprattutto “spirituale”. Questo il vero, sostanziale motivo che porterebbe fuori dal regno animale l’uomo. L’uomo non appartiene al mondo animale bensì al regno spirituale: sceglie, è libero, si autodetermina, è cosciente di sé, ha dei fini voluti, è capace di concetti, ha la parola. Qualità estranee al mondo animale. Tenendo anche conto, che se all’apparenza gli animali possono comportarsi come l’uomo, in effetti la società degli animali e la società umana sarebbero dissimilissime. Gli animali non farebbero “società” per la mancanza di scelta libera, per la mancanza di autodeterminazione.

Ma la libertà di scegliere, ammesso che esista e non sia invece complessità di pulsioni nelle quali prevale la pulsione più forte che definiamo libero volere, ebbene, la libertà di scegliere comporta o comporterebbe la possibilità di fare il male. Insistere sulla diversità, singolarità dell’uomo, non tiene in conto che se l’uomo è libero, l’uomo fa convintamente il male. È un segno di “superiorità”? Nessun animale ha inferto e infligge più danni alla Terra degli uomini, i quali fanno a paro con gli eventi naturali. E, almeno dal punto di vista oggettivo, gli animali sono moralissimi. Il senso materno è presso che universale negli animali, frequente il senso paterno, la solidarietà di gruppo spesso potentissima anche tra animali ripugnanti come le iene, il senso gerarchico è cruciale e “meritato”, la relazione madre/figli straordinaria perfino nei coccodrilli, nelle tigri, le coppie spesso sono indissolubili e scambiano compiti in modo esemplare, così le aquile, i pinguini, la distinzione delle attività netta. Considerare tutto ciò di rango inferiore perché non dovuto a libera scelta, sarà, ma contano i fatti. E poi, che valore ha dichiararci o meno liberi se il risultato è il massacro eventuale dei nostri simili?

Sul terreno affettivo e comportamentale le differenze tra uomo ed animale sono impercettibili e problematiche. A tal punto perveniamo al paradosso accennato. L’uomo spesso sceglie il male, proprio ed altrui, molto al di là del “male” dovuto alla come avviene negli animali. Difficilmente un animale supera l’uccisione per il nutrimento, l’uomo fa di peggio. Paradossalmente, ripeto, l’uomo “morale” è più immorale dell’animale che non starebbe nella sfera morale. Questi i fatti, che poi gli animali non hanno merito di comportarsi spesso meglio degli uomini non avrà un valore morale ma di certo l’uomo non ha da vantarsi di essere, quando lo è, malvagio, perché dimostra la sua libertà. Una libertà che consente un maggior compimento di male è una rovinosa libertà.

Ciò detto, che fare nel caso di violenza esplicita, diretta che mette a rischio la vita, i beni di singoli o di popoli? È legittima la difesa o pur di rispettare il principio di non rendere male con male, forza contro forza, occorrerebbe ricevere? E se il ricevere è a prezzo della nostra vita? È il punto incerto dei movimenti di non violenza. O si considera la risposta difensiva al male difesa legittima? Non è del tutto comprensibile ciò che i non violenti propongono a riguardo. Di sicuro è possibile subire il male e non reagire, ma attendersi che ne venga bene da parte di chi vuole farlo in quanto la non aggressività genererebbe non aggressività è arduo supporlo. Forse l’uso della violenza occorre giudicarla, se o meno opportuna, caso per caso e non farne una condizione assoluta per ogni evenienza. E tuttavia un principio generale è indispensabile. Allora, anche a prezzo della nostra morte non reagire al male? Non credo. Quando siamo in condizione di poter essere uccisi è giustificato uccidere. Ma se vi sono uomini che preferirebbero morire non reagendo, chi può contrastarli e perché? La vita è proprietà esclusiva di ciascuno per natura, non per concessione sociale. In questo diritto “naturale” di essere padroni dei propri comportamenti oltre il legalismo vissero, agirono, onorarono se stessi e la civiltà Lev Tolstoj, Mahatma Gandhi. Pacifisti combattivi.

Aggiornato il 29 ottobre 2021 alle ore 12:09