La brillante analisi di Beniamino Di Martino dell’ideologia nazifascista
In Italia, lo studio della Scuola austriaca di economica e del pensiero libertario è, purtroppo, ancora un’esperienza di nicchia. Nell’ambito della Chiesa cattolica, per di più, esso è totalmente misconosciuto e ciò va constatato con grande dolore, se si considera la ricchezza che il libertarianismo può fornire al pensiero cattolico (specialmente dal profilo della dottrina sociale). Il pensiero libertario classico – che si rifà ad autori come Von Mises, Hayek, Rothbard – è compatibile con i princìpi morali del cattolicesimo, basandosi questo sul rispetto della volontà e sul rifiuto della coercizione, quando essa è usata al di là della mera amministrazione di giustizia, cioè in difesa dei diritti di proprietà.
Sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, lo studio del pensiero libertario aveva ricevuto una certa attenzione dai cattolici – in realtà più nel mondo anglosassone che in quello continentale – ma sotto il pontificato di Francesco la questione è ritornata un po’ nell’ombra, intimoriti forse dal recente magistero pontificio, che sembra evocare in qualche misura la nozione dello “Stato forte” che interviene in tutte le questioni economiche, oppure dalla pericolosa ambiguità di espressioni, per se stesse teologicamente corrette, ma male esplicate, quali “il diritto di proprietà non è assoluto” oppure l’esistenza di una “destinazione universale dei beni”.
Notevole esempio di “resistenza libertaria” nell’ambito del clero italiano è certamente quello di Beniamino Di Martino, sacerdote napoletano e inoltre uno dei più importanti studiosi italiani viventi di filosofia economica libertaria. Già autore di svariate opere sul rapporto tra libertarianismo classico e dottrina sociale della Chiesa e di filosofia della storia (spiccano in particolare Rivoluzione del 1789, Leonardo Facco Editore, 2019, e La Prima Guerra Mondiale come effetto dello “Stato totale”, Leonardo Facco Editore, 2016), nonché sulla questione Covid (Libertà e Coronavirus, Monolateral, 2020) e di un numero sterminato di articoli e recensioni, per lo più pubblicati sulla rivista di scienze storiche e sociali da lui fondata, Storia Libera, ha pubblicato proprio in questi giorni l’ennesima fatica letteraria.
Stretto nel fascio: il nazi-fascismo contro l’individuo (Monolateral, ottobre 2021) è un’analisi dettagliata e puntuale dell’ideologia nazionalsocialista e di quella fascista dalla prospettiva della Scuola Austriaca. Si tratta, com’è evidente, di una critica diversa da quella cui ci hanno abituato decenni di manfrine accademiche e discutibili opinioni da parte di commentatori televisivi e politici di dubbia preparazione. La prospettiva mainstream – quella che ci insegnano sin da scuola e che è stata “canonizzata” in qualche misura dal filosofo socialista Norberto Bobbio – indica lo spettro politico come orizzontalmente distribuito tra un punto estremo a sinistra, il comunismo, e un punto estremo a destra, che è il fascismo. In tal modo, tutto il dibattito politico si riduce a questo dualismo.
La visione fornitaci da Di Martino è più completa: a ben vedere, comunismo e nazifascismo sono soltanto in una apparente contraddizione. Entrambe affondano la propria radice nel pensiero socialista (e non a caso il nome completo del partito nazista era, appunto, Nsdap: “Partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi), cioè nell’idea che lo Stato abbia priorità sugli individui. Conseguentemente, lo spettro politico viene sconvolto: il nazifascismo, con il suo culto dello Stato (come nell’esperienza italiana) o della “razza” (come nell’esperienza tedesca), non è poi così dissimile formalmente dal comunismo, con il suo culto del proletariato. E non è neanche dissimile dal liberal-progressismo contemporaneo, con il suo culto di altre classi, sempre presentate politicamente come minoritarie e necessitanti di tutela statale nella loro lotta contro le classi “cattive”.
Il libro di Beniamino Di Martino non è certamente un libro da leggere sotto l’ombrellone e questo non soltanto perché ormai siamo fuori stagione, ma soprattutto perché si tratta di un’opera di ben quasi 500 pagine, non adatto a tutti i lettori, ma per lo più agli studiosi e agli studenti di filosofia politica o agli appassionati di storia del Novecento o della seconda guerra mondiale. Una cosa è certa: si tratta di un unicum nel panorama letterario italiano che tratta queste tematiche. E il valore diventa maggiormente apprezzabile se si considera il fatto che – ancora una volta, poiché colpevole di “liberalismo selvaggio” – Stretto nel fascio: il nazi-fascismo contro l’individuo non riceverà lo spazio e l’attenzione che merita da parte degli organi e di coloro che pure dovrebbero mostrare interesse al riguardo.
Si tratta di un testo utile anche per salvaguardare l’amore per la libertà integrale dell’uomo dalle varie ideologie moderne, in un periodo che solo in apparenza sembra non avere più nulla a che fare con il mondo alla fine del secondo conflitto mondiale. A quasi ottant’anni dalla caduta del Terzo Reich di Hitler, convinto di avere una vocazione millenaria, e a trentadue anni dalla caduta del muro di Berlino, non dobbiamo credere che nazifascismo e comunismo siano solo fantasmi del passato. In società fortemente statuali come le nostre, ogni volta che si presenta un periodo di robusta crisi (e quello che stiamo vivendo lo è certamente), si presenta anche nelle masse il desiderio dell’uomo forte, di un “uomo della Provvidenza”, capace di risolvere i problemi a colpi di stati di eccezione. Un’illusione, un copione tragicomico che troppe volte abbiamo visto tra le pagine della storia moderna e contemporanea, ma dal quale – evidentemente – non abbiamo ancora tratto alcuna lezione.
Stretto nel fascio: il nazi-fascismo contro l’individuo di Beniamino Di Martino (Monolateral, ottobre 2021)
Aggiornato il 23 ottobre 2021 alle ore 12:14