“Ho visto l’abisso”: la risalita di Simone Moro

“Spero che mio figlio impari fin da piccolo ad amare la fatica e l’insuccesso, che capisca quanto siano preziosi per ripartire più forti”. Simone Moro è uno degli alpinisti più famosi al mondo: il punto più alto, in tutti i sensi, è stato raggiunto sulla vetta del Nanga Parbat. Nel novembre del 2019 – insieme a Tamara Lunger, compagna di cordata – annuncia “la sua nuova spedizione, una delle più emozionanti: seguirà le tracce di Messner e Kammerlander, dal 1984 rimaste intonse, che in un’unica traversata conquistarono i due ottomila Gasherbrurn II e Gasherbrun”. Un viaggio in inverno, con un equipaggiamento leggero e ciò rende la sfida ancora più difficile. Ma “ad attenderlo però c’è un ghiacciaio che – diversamente da quando lo aveva visto in passato – con i cambiamenti climatici e i terremoti si è trasformato in un infernale labirinto di crepacci”. Così in un attimo Simone Moro è inghiottito nelle viscere di quel manto bianco “come in un volo da un palazzo di sette piani”: riuscirà a salvarsi “solo grazie alla sua forza e al coraggio di Tamara e alla propria lunga esperienza di alpinista”.

Ho visto l’abisso” (edito da Rizzoli) è un libro di riflessioni, di resistenza e alla capacità di risalire dalle difficoltà messe in campo dalle “montagne russe della vita”. Sono 256 pagine intense, in un vortice di emozioni che scorrono veloci. Un labirinto di sliding door che cambiano la via, anzi, la traccia maestra. Come spesso accade nella nostra esistenza: “Sollevo il piede impercettibilmente e quando lo appoggio non c’è più niente a sostenermi. Il piede sprofonda nel vuoto. Io sprofondo nel vuoto. Precipito, adesso arriva lo strappo, penso, e invece rimbalzo contro le pareti, mi giro su me stesso. Cado ancora più giù, verso l’abisso. Aspetto lo strappo ma niente, non mi fermo, lo strappo non arriva. Sopra, sempre più sopra e lontana, la voce di Tamara che urla di dolore”.

Il cuore oltre l’ostacolo, certo, ma anche la paura. Perché la paura c’è, eccome se c’è: “Avere paura non significa non aver voglia di rischiare o di provarci. Vuol dire essere consapevoli che la paura è esattamente come la fame: è una cosa con la quale siamo nati, che fa parte di noi, e che si ci dimentichiamo di ascoltarla, come con la fame o il sonno, ci mettiamo in guai seri”.

In una intervista alla Gazzetta dello Sport Moro spiega: “Il rischio fa parte dell’esistenza. Ho fatto 70 spedizioni e me la sono vista brutta una volta. Settanta spedizioni che durano tre mesi l’una, quindi se in 210 mesi un giorno mi è andata storta, penso di essere stato fortunato e, al tempo stesso, sufficientemente saggio da rinunciare quando andava fatto. Non sopravvivi in montagna con la fortuna, quindi serve saper rinunciare e ricordarsi sempre che la vera vetta è il punto da cui è partito tutto, ossia l’uscio di casa tua”.

Per Simone Moro, in questo libro, “trasformare l’avversario in una risorsa è il segreto di molte vittorie e carriere”. In fondo, il traguardo “è sempre e solo un punto di passaggio e mai di arrivo, perché la felicità e la passione non risiedono in una destinazione ma nel tragitto. L’importante è identificare il proprio e mettersi in cammino”. Già, non la meta ma il viaggio…

(*) Simone Moro, “Ho visto l’abisso”, Rizzoli, 256 pagine

Aggiornato il 23 ottobre 2021 alle ore 12:47