Personaggi della civiltà: Giovanni Boccaccio e il realismo

Come Dante, come Petrarca, Boccaccio è toscano. Lo si dà per nato a Parigi, a Firenze, a Certaldo dal mercante Boccaccio da Chelino, in ogni caso da una relazione non matrimoniale. Anche Boccaccio fu indotto a una professione, la mercatura, che non sentiva quale sua, a Napoli, città vivissima, sotto gli angioini. Il padre, facoltoso, gli permise una giovinezza libera e gaudente. Si innamorò di una fanciulla che Egli chiamerà Fiammetta, un amore intenso da parte di Boccaccio, e che sarà immesso nel romanzo in prosa: Elegia di Madonna Fiammetta. Nel 1340 il padre ebbe un tracollo economico, Boccaccio torna a Firenze e si mantiene con impieghi pubblici.

Viaggia. Si stabilisce a Firenze, 1348, e conosce Petrarca, lo rivedrà in varie occasioni, ne sarà ospitato, condividerà la passione per la civiltà ed i testi latini e greci, con Petrarca avrà un breve momento di malinteso quando vorrebbe che Petrarca si operasse per Firenze laddove Petrarca nel suo girovagare tra i Signori sceglie, un periodo, la potente Milano dei Visconti. Ma furono, dicevo, momenti passeggeri. Il fatto era che Boccaccio si spendeva per la civiltà comunale, e del suo Comune, Firenze, invece Petrarca aveva spirito nazionale. Successivamente Boccaccio si stabilì a Certaldo, presso Firenze, dove visse poveramente se non miseramente, confortato dall’amicizia del Petrarca, cessata solo con la morte dell’aretino.

Boccaccio scrisse ampiamente, in latino ed in volgare, ma l’opera che lo pareggia a Dante ed a Petrarca è il Decamerone, cento novelle che sette donne e tre uomini narrano fuggendo la peste di Firenze. Boccaccio, che si sentiva inferiore a Dante ma anche al Petrarca, provava angustie morali, si riteneva non adeguatamente cristiano. Egli è una figura diversa totalmente dall’intesa che ne abbiamo nominandolo. Al dire “Boccaccio” supponiamo un uomo spavaldo, sensuale, vitalissimo, immoralista, fu tutt’altro: di non felici amori con le donne, di risicati mezzi, di mediocre carriera. Al cospetto del gigantismo della vita e dell’opera di Dante, e del riguardo altissimo che ebbe Petrarca dai Signori del suo tempo, Boccaccio è trascurabile. Ma come scrittore Boccaccio fu e permane uno dei massimi novellieri della letteratura universale. Sapeva in poche pagine rappresentare personaggi, con una elaborazione di frasi che precisa psicologie, situazioni, ambienti e ci consegnano un’epoca.

Come Dante, Boccaccio trova materia, prevalentemente, dal suo tempo, e da vicende reali, mentre, però, Dante rende scultoreo ogni personaggio, lo ingigantisce, nel bene e nel male, Boccaccio si limita alla realtà. E taluni personaggi che Dante colma di eccesso, Boccaccio li traccia in modo corrente, così, per esemplificare, se Ciacco in Dante è non un ghiottone ma il ghiottone, un tipo cosmico della golosità, in Boccaccio è un mangia a sbafo, uno che cerca di saziarsi come capita e il più possibile; similmente per Filippo Argenti, iracondo folle in Dante, un attaccabrighe in Boccaccio. Boccaccio riconduce alla realtà la realtà, ma come rappresentatore della realtà reale è insuperabile. La sua opera, Il Decamerone, è affollata di una miriade di personaggi medi, di situazioni comuni, ma così vivi, caratterizzati, che tutta l’epoca ne viene tramandata, dal santo al poveraccio, dal ricco al generoso, dal crudele all’ingenuo, i fratacchioni, senza gli alti modi danteschi ma con una propria coloritura di umanità, con un linguaggio che non si spreca e contiene la realtà e dà la specificità di quanto narrato, consegnandoci personaggi divenuti straordinari pur se comuni, a tal punto sono precisati e situati. Il Medioevo deve pure a Boccaccio la conoscenza che ne abbiamo.

Aggiornato il 10 settembre 2021 alle ore 13:19