Un campo dove l’uomo esercita la disposizione all’esaltazione inventiva è quello sessuale. Se esistono eroi della forza, eroi del canto, eroi della guerra, eroi dell’astuzia… esistono anche eroi della seduzione. Oltre coloro che furono eroi di seduzione nella vita, un Casanova, un D’Annunzio, un Frank Harris, vi sono seduttori ripresi dalla vita, certamente, ma diventati personaggi. Personaggi leggendari, personificazione del compimento sessuale.

Se vogliamo denominare un seduttore uomo diciamo che è “un Dongiovanni” (più raramente un “Casanova”). Come Amleto incarna il dubbio sull’agire, Faust la ricerca della giovinezza e poi la missione a favore del bene e del bello, Don Chisciotte la vita come sogno di nobili imprese, Münchhausen il delirio della più esaltante fantasticheria, però vissuta, Don Giovanni è il seduttore assoluto, l’uomo al quale nessuna donna resiste, ma è anche duellante mortifero, ingannatore, beffardo, addirittura sacrilego, come diremo. In Don Giovanni, in talune delle sue individuazioni, vi è persino la figura del Male, come irrisore della credulità umana nel terreno morale e religioso, vi è l’antesignano dell’immoralista, di colui che schernisce la morale dell’osservanza, dei divieti, della paura di oltrepassare le consuetudini.

La prima apparizione del Don Giovanni è manifestata nell’opera di Tirso de Molina, “El burlador de Sevilla ovvero El convidado de pietra”. Tirso de Molina, spagnolo, è un religioso, vive nel periodo della Controriforma, uno dei periodi maggiormente ossessionati dal “peccato” e dal rigore dei precetti cattolici ma anche protestanti. La religione riprende il dominio della società che nel periodo rinascimentale era sminuito. Il Rinascimento, non sempre, vedeva nella religione una ispirazione dell’arte o una via di salvezza, sia detto con misura, in ogni caso faceva della bellezza lo scopo fondamentale della stessa religione. Nella Controriforma la situazione è capovolta, non la religione al servizio dell’arte ma l’arte a servizio della religione ossia l’arte morale, edificante, contro il “peccato”.

Tirso de Molina rispecchia questa concezione, la fa sua, e ne “Il burlatore di Siviglia” scrive un testo che intende dannare il peccatore Don Giovanni. Don Juan è promesso sposo di Anna, figlia di Don Gonzalo De Ulloa, ma seduce la Duchessa Isabela, camuffandosi quale promesso sposo di lei, Ottavio, a Napoli. Fugge in Spagna, naufraga, viene salvato da Tisbea, una pescatrice, anche lei sedotta.

Per mettere fine alla condotta di Don Juan e riparare le offese il Re Alfonso XI ordina l’unione in matrimonio di Don Juan con Isabela, di Don Ottavio con Anna, la quale però ama il Marchese De La Mota. Don Juan è tutt’altro che disposto a finire in un matrimonio la sua vita di seduttore. Don Gonzalo vuole vendicare la figlia, Anna, ma nel combattere contro Don Juan, viene ucciso. Ancora avventure amorose di Don Juan, che, tornato a Sevilla, si imbatte nella statua funeraria di Gonzalo de Ulloa, per beffa lo invita a cena, la Statua incredibilmente accetta l’invito, e a sua volta invita Don Juan, trascinandolo nella tomba.

L’opera di Tirso de Molina ha un intreccio che per taluni aspetti verrà mantenuto, e verranno mantenuti dei personaggi, Ottavio, Anna, pur se in ruoli diversi. Soprattutto verrà mantenuto il “convitato di pietra”, il padre di Anna, ucciso e mutato in Statua vivente e assassina. Anche il servo complice di Don Juan, Catalinón, in Tirso de Molina, resterà, mutando nome; e, scolpito per sempre, resterà Don Juan, un personaggio esemplare, nel suo genere, e fondamentale nella tipologia della cultura europea, e universale.

L’opera è del 1616. Ha un evidente significato morale, la punizione del peccatore. Ma, ne parleremo, la figura di Don Juan diventerà segno di vitalità non di peccato e, occorre insistere, una figura preminente della nostra civiltà. De Molina immette nel suo testo elementi pittoreschi, complicazioni romanzesche, di certo la Statua vivente e giustiziera è una invenzione fuori dall’ordinario, e, nella resa musicale che ne diede Mozart, si spinge ad uno dei vertici dell’Opera Lirica d’ogni tempo.

Ben diversa e di ben altra coscienza il “Don Giovanni” di Molière. Siamo nella Francia del XVII secolo, sul trono vi è Luigi XIV, il quale intende rendere la sua Monarchia pari agli Imperi romani: arte, lusso, guerre vittoriose. Non in ogni impresa ebbe riuscita, Luigi XIV ma fu, il suo, uno splendido regno, almeno per l’aristocrazia di corte, per gli artisti in vari campi, e che vide, in qualche modo, anche il sorgere della borghesia e del pensiero libero o libero pensiero, non credente e con diversa morale da quella cattolica.

In queste controverse concezioni e situazioni vive e crea il maggior commediografo dopo i greci ed i romani, Molière. Abilissimo nei dialoghi, inventivo nelle trame, osservatore dei tipi umani e dei mutamenti sociali, attore, impresario, tra i pochi Autori che rappresenta le sue opere a corte, non fosse per un matrimonio non felice, tutto va per la buona sorte di Molière, il quale, dicevo, ci fornisce “personaggi” caratterizzati, memorabili, entrati nella storia del Teatro e della stessa vita, come una identificazione: “L’Avaro”, “Il misantropo”, “Il malato immaginario”, “Tartufo”, “Il borghese gentiluomo” tanto per dare nome a delle commedie nelle quali viene tipicizzato uno  dei comportamenti umani. Dopo Molière l’avaro è come l’avaro di Moliere, il soggetto infastidito dalla vita è come il misantropo di Molière, colui che è perennemente malato o teme che possa ammalarsi è come il malato immaginario di Molière, il falso onesto è come il protagonista di Tartufo, il quale è un sacerdote, mentre il borghese che vuole farsi gentiluomo cade nelle umoristiche evenienze di questo cambiamento sociale come in Molière.

Nella capacità di cogliere tipi e precisarli, ambienti sociali, per spigliatezza vivacissima di dialogo (era una società di elevata qualità di interlocutori) e grovigli di vicende Molière è il massimo commediografo della nostra Era, ripeto, anche per la capacità di rappresentare una Società in evoluzione, specie con una opera che si stacca dall’epoca alla quale appartiene comunque, ed avanza nei tempi venturi: Don Giovanni.

Il Don Giovanni di Molière non è soltanto un amante dell’avventura sessuale, un goditore di femmine, un abile ingannatore, un peccatore come in Tirso de Molina, Molière rende Don Giovanni un individuo che vuole e ama distruggere la morale corrente, spregiarla, prenderla in gioco, niente di quanto comunemente vale, per “questo” Don Giovanni vale.

Egli è deciso consapevolmente a ingannare, uccidere, tradire, pur di affermare i suoi piaceri, la sua inclinazione, la superiorità dello spregiatore. Don Giovanni non ama le donne, lo dichiara al servo Sganarello a inizio dell’Opera, si annoia subito dopo averle ottenute e passa ad altre, vuole averle con ogni mezzo, addirittura ha ucciso il padre di una sua preda, non ammette ostacoli, non una lacrima per la sofferenza altrui, non commozione per l’infelicità che suscita togliendo l’amata all'amato, come ora complotta con Sganarello, organizzando travestito una gita a tal fine.

Per recarsi nel luogo dell’imbarco viene aiutato, il luogo è infestato dai banditi, da un uomo poverissimo, Don Giovanni lo remunera purché costui bestemmi, il poveruomo rifiuta, Don Giovanni lo remunera lo stesso. Nel mentre Don Giovanni vive questa situazione, dei banditi assalgono i viaggiatori, Don Giovanni li salva, non può accettare quest’atto ignobile, scopre che costoro sono i fratelli di Donna Elvira da lui tratta dal convento e sedotta, venuti a vendicarla. Potrebbero ucciderlo, ma Don Carlos, uno dei salvati, non ammette che venga ucciso chi li ha salvati. Da questo momento a seguire Don Giovanni esalta la sua falsità, inganna suo padre, Don Luigi, dichiarandosi pentito, mente a Donna Elvira e a Don Carlos, non paga Fortunato, suo creditore. Infine gli avviene un evento stupefacente, scorge la Statua dell’uomo ucciso in passato, ancora e sempre beffardo, a Sganarello ha elogiato l’ipocrisia come arte di non pagare il prezzo della falsità, ebbene, invita a cena la Statua, che, sorprendentemente anche stavolta, come in Tirso de Molina, accetta, e che a sua volta invita Don Giovanni.

Ed è l’ultimo a chiedergli di pentirsi, ma Don Giovanni preferirà morire che accettare la morale corrente. Neanche la sua stessa morte lo muta. Meno che mai una eventuale punizione eterna. Non Dio, non Uomo, frenano Don Giovanni. Egli sa e vuole vivere sotto questo segno, l’affermazione dei suoi voleri e piaceri contro e su tutti e tutto e lo scherno verso chi non è capace di tale comportamento. È l’individualismo senza responsabilità, non c’è dovere che lo freni, anzi; nel caso, lo violerebbe. Ma è soltanto un trasgressore, Don Giovanni? Fosse tale non darebbe la moneta al povero, non avrebbe salvato dai banditi gli uomini in pericolo.

Senza vagliare le molte questioni sulla figura di Don Giovanni, discusse da secoli, forse egli ci rappresenta l’uomo che si dà la morale da sé, una morale soltanto umana che mantiene tratti di nobiltà e per il resto agisce con la falsità comune a tutti anche a quanti dichiarano virtù. Non va trascurato che l’ipocrisia della quale Don Giovanni si copre è la stessa del sacerdote in Tartufo, ma Don Giovanni la confessa. In ogni caso, Don Giovanni è “vero” totalmente nell’amore per la vita terrena.

Chi spinse all’estrema fama Don Giovanni fu il compositore Wolfgang Amadeus Mozart, ben sostenuto dal librettista Lorenzo Da Ponte. Da Ponte attinge agli Autori precedenti, vi è qualche diversità di ruoli e di nomi, il servo è chiamato Leporello, ma il punto essenziale sta nel rendere il Don Giovanni di Molière ancora più consapevole del suo volere essere un uomo libero da una morale convenzionale religiosa e di amare all'estremo il piacere di vivere.

Se Don Giovanni in Molière era un libertino il cui piacere sessuale era anche segno di libertà mentale e autonomia dalla religione, il disprezzo del Don Giovanni di Mozart/Da Ponte contro chi considera peccato il piacere assume aspetti eroico-tragici, al punto che il rifiuto di Don Giovanni di pentirsi sovrasta la morte a cui la mano della Statua lo trascina. Vivere tutto della vita soltanto nella vita: Don Giovanni.

Aggiornato il 08 settembre 2021 alle ore 12:00