Il primo postulato su cui si basa la teoria della relatività ristretta stabilisce che le leggi della natura sono uguali in qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Il secondo postulato su cui si fonda tale teoria è invece quello che asserisce la non superabilità, o l’assolutezza, della velocità della luce. Questo secondo postulato aveva avuto già qualche illustre anticipazione filosofica circa un secolo prima di Albert Einstein. Ne L’enciclopedia delle scienze filosofiche, infatti, Georg Friedrich Wilhelm Hegel aveva definito quella della luce come una velocità assoluta, in quanto velocità di un corpo “assolutamente leggiero”, cioè privo di massa inerziale. Ma procediamo con ordine. Per Einstein la velocità della luce è finita, ma poiché è la velocità massima possibile, si comporta come una velocità infinita. Questo implica che non è più valida la legge della trasformazione classica, galileiana, e che diventa valida la legge della trasformazione di Lorentz. Infatti, come sostengono Einstein e Infeld (L’evoluzione della fisica, Torino, 1965, pagine 200) “il numero esprimente la velocità della luce figura esplicitamente nella trasformazione di Lorentz, e vi assume la veste di caso limite, come la velocità infinita nella meccanica classica”.
Ciò dipende dal fatto che la velocità della luce, oltre ad essere finita, ha la peculiare caratteristica di non poter essere superata. Come precisa Einstein: “nella teoria della relatività la velocità c ha il carattere di una velocità limite che non può essere né raggiunta né superata da alcun corpo reale”. Ciò la rende molto diversa da qualsiasi altra velocità v, tanto più quanto questa è inferiore a c. Einstein e Leopold Infeld notano anche come, “dalla trasformazione di Lorentz scende che un regolo si ridurrebbe a nulla se la sua velocità potesse eguagliare quella della luce. Parimenti, un orologio in moto, purché buono rallenta il proprio ritmo in confronto agli orologi davanti ai quali sfila lungo l’asta e si fermerebbe del tutto qualora la sua velocità eguagliasse quella della luce” (ivi, pagina 199). Ciò è coerente con il considerare c come una velocità che “si comporta” come una velocità infinità nella meccanica classica. Ebbene, questo modo di concepire la velocità della luce era già stato anticipato da Hegel circa un secolo prima. Come spiega Dieter Wandschneider in due saggi tradotti anche in italiano e dedicati alla filosofia della natura del grande idealista tedesco (Spazio, tempo e relatività nella prospettiva della Filosofia della Natura di Hegel, Bibliopolis, 1984; e Aspetti filosofici delle teorie della relatività speciale e della relatività generale di Einstein, Iisf, 1989) sebbene la teoria della relatività sia una teoria fisico-matematica di cui Hegel non poteva avere idea, egli giunge tuttavia a concepire uno dei postulati su cui tale teoria si fonda attribuendo alla luce dei requisiti assolutamente unici.
Nei paragrafi 275 e 276 dell’Enciclopedia Hegel spiega infatti che la velocità della luce, essendo la velocità di un corpo non dotato di massa, non può che essere assoluta. Il suo essere una velocità assoluta scaturisce per Hegel direttamente dal fatto che non ha massa inerziale e poiché il movimento relativo dei corpi (quello inerziale galileiano) è legato all’inerzia della massa, un “non corpo” privo di massa si sottrae per Hegel alle leggi della relatività galileiana. Un simile “non corpo” sarebbe cioè caratterizzato da un movimento assoluto, ovvero in moto rispetto a qualsiasi sistema di riferimento inerziale, che è proprio ciò che Einstein attribuisce alla luce.
Aggiornato il 13 luglio 2021 alle ore 12:03