Inserito in una nuova collana “L’Italia in eredità” delle edizioni Historica, a cura di Alessandro Sacchi e Salvatore Sfrecola l’agile volume “Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo” è una raccolta di saggi sui vari aspetti della vita e dell’opera dell’uomo e del Re, per la penna di differenti studiosi, storici, giornalisti, professori di diritto.
Aperto con una introduzione di Alessandro Sacchi, curatore della collana e presidente dell’Unione Monarchica Italiana, il libro fin dalla prefazione fa emergere prepotentemente la figura di un uomo dalla personalità fortissima, capace di interpretare al meglio il suo ruolo di Re, ma senza farsene acriticamente condizionare, capace di essere Re tra i Re e popolo tra il popolo, in grado di concepire e realizzare il sogno di un piccolo Regno destinato a divenire il grande Regno della Patria italiana unita.
Pagina dopo pagina emerge come Vittorio fu tutt’altro che un semplice, pur se magnanimo, testimone degli avvenimenti, ma un assoluto protagonista, tanto in politica estera, come Sfrecola ricorda del suo viaggio alle corti di Francia e Gran Bretagna che seppe legare al Piemonte (e dunque all’Italia) le simpatie e le volontà di quei monarchi, quanto in politica interna dove, come ricorda Andrea Ungari, il rapporto personale che seppe costruire con Giuseppe Garibaldi fu essenziale per l’impresa dei Mille.
Orgoglioso delle prerogative, ma anche rispettoso dei limiti che lo Statuto Albertino gli riservava, Vittorio non fu solo un grande conoscitore degli uomini a cui affidò il Governo, tra tutti ovviamente Camillo Benso conte di Cavour, ma anche costante stimolo in tutti i campi, come ricorda Gustavo Pansini a proposito della sua costante pressione per una rapida unificazione nazionale dei codici, civili e penali. Da Rossella Pace ed Edoardo Pezzoni Mauri (cui si deve il libro su Cavour della stessa collana) e soprattutto da Adriano Monti Buzzetti (non a caso grande giornalista) veniamo a scoprire la vena ironica e bonaria del sovrano, in tutta una serie di fatti curiosi e divertenti di un Re che fu non solo lineare e coraggioso, ma amante della vita semplice ogni volta che lo poteva e, in un certo senso, perfino giocoso.
Veniamo così a conoscere episodi gustosi e rivelatori, come quando a Pisa trovò il portone della cattedrale sbarrato da un prete oltranzista ma, trovata aperta una porticina secondaria, entrò dicendo: “È per la porta stretta che s’entra in paradiso”. O come quando, raggiunto da Cavour che voleva ragguagliarlo sulla gran folla accorsa sotto casa sua per festeggiarlo al ritorno dal successo diplomatico a Parigi, disse al suo Primo ministro: “Non me lo dica Conte, mentre lei era al suo balcone, c’ero anch’io, nascosto e confuso tra la folla a gridare Viva Cavour”.
Questi e tantissimi altri ricordi, considerazioni, approfondimenti e aneddoti si trovano nel libro, che risulta così veramente godibile, ma che soprattutto ci rammenta la più vera “chanson de geste” italiana: il Risorgimento.
Aggiornato il 21 giugno 2021 alle ore 11:36