Si salvi chi vuole

In un mio romanzo dal titolo “Il professore, la morte e la ragazza”, pubblicato dall’editore Armando distribuito adesso in tutte le librerie, un professore narra la decisione di abbandonare l’insegnamento e scopre immediatamente una realtà differente dalla vita trascorsa negli anni, quando si dedicava alla conoscenza che prendeva e riversava in qualche modo negli studenti. La passione per la conoscenza resta ma è privo delle relazioni a cui affidarla. Si avvede, inoltre, che la società non ha bisogno del suo conoscere mentre invece lo assilla di adempimenti pratici necessari: pagamenti di bollette, problemi per telefono, luce, idraulici, le minutaglie quotidiane che, immerso nell’insegnamento, venivano sublimate dalla sua attività. E ora lo futilizzano di ansie.

Ma si accorge di qualcosa molto più grave: la società è cambiata. Volti stranieri, negozi con persone di altri Paesi, adesso fa attenzione a quanto prima non badava. Ha giorni liberi: passeggia, guarda, curiosa, davvero una società inconsueta anche se visibilissima. Però, dicevo, egli era sommerso dall’insegnamento: al Liceo e all’Università scriveva.

Nota stranieri, figli di stranieri, coloriture gialle, nere, brune. Nota che quanto gli spetta dopo aver insegnato decenni non è che sia un granché, cerca altri insegnamenti. E vuole vivere, non si considera escluso sebbene patisca il male degli anziani, la malridotta prostata, anche il corpo in vari aspetti qualche fastidio glielo infligge. I suoi amici di un tempo hanno vita sparsa. Chi è diventato una specie di Santone in Oriente e cattura i compatrioti che ritengono di immergersi nella spiritualità, chi si è isolato per trovare la Verità, chi cerca ramingo qua e là il modo giusto per vivere. In un episodio laterale, un personaggio al quale è morto il fratello indaga per sapere se vige soluzione alla morte, scartoffia teologi e filosofi ed approda al non saperne, ne dà cognizione al professore narratore.

Il romanzo pende da problemi esistenziali radicali: la morte, la verità a problemi di cabotaggio utilitaristico, guai idraulici, telefonici, multe, tasse. Una società che incatena con piccole lacciature paralizzanti... coniuge di una moglie inesistente, il professore – che si grava di innamoramenti con ragazze, caricando ulteriormente la sua appesantita esistenza – ha momenti visionari. Il suo Paese che si sfascia in una miseria invasiva, fabbriche arrugginite, banche chiavistellate, ma soprattutto che il suo Paese – e non solo l’Occidente – verranno conquistati da altri popoli. Una sostituzione inesorabile, sgocciolante ma totale.

È angosciatissimo. Il solo valore in cui ha creduto è la cultura, la cultura generalizzata ma sopratutto la specifica cultura del suo Paese e dell’Europa, in cui si era inviscerato come il respiro nel petto, il sangue nelle vene. Perderla significherebbe la morte nella vita, oltre la morte nel morire. Tempesta la sua casa di statuine, quadri, disegni della civiltà greca, romana, cattolica, persino Santi, Cristo, Dio. Lui non credente, per fermare questa profetica estirpazione dalla propria civiltà, vuole concludere la sua esistenza aspettando la morte, odiandola, ma fedele alla storia e al Paese in cui è nato, che ha amato, che vorrebbe salvare, accorgendosi che invece gli altri assistono alla perdita di noi stessi così, come un passaggio di nuvolaglie.

Egli, invece, vorrebbe far capire, far sentire che la perdita della propria civiltà è una tragedia come la morte naturale. Però, mentre la morte naturale è invincibile e irrimediabile, la civiltà possiamo difenderla, e salvarla, se lo vogliamo. Il protagonista del mio romanzo la vuole salvare. Anche io.

Aggiornato il 24 maggio 2021 alle ore 11:46