
È stato tanto tempo fa. Mi sembra ieri a dire la verità, ma sono passati più di trent’anni. Non avevo neanche compiuto venticinque anni, quindi in una maniera del tutto impensabile – così come avviene realmente nella vita di ciascuno di noi, quando il Fato, o Dio se preferite, ci invia le persone di cui necessitiamo – conobbi Franco Battiato. Veramente lo conobbi perché ebbi occasione d’incontrare Gabriele Mandel, uomo dal multiforme ingegno e dalla notevole sapienza, che all’epoca era shaik della Naqshbandi (una confraternita di sufi dell’Afghanistan) della quale era seguace una mia cara amica di allora che accompagnavo e con la quale condividevo alcuni interessi nel campo dell’esoterismo.
Dunque, conobbi Battiato per caso, se il caso esistesse, ma non ho grandi racconti da riportare alla superficie dell’oceano della mia memoria, se non l’impressione di un uomo che sorrideva spesso, anzi rideva piacevolmente in compagnia, senza atteggiarsi a Maestro né ad iniziato. Avevamo in comune l’interesse per gli scritti di René Guénon e l’amore per l’arte, ma credo che lui fosse più attratto dai profondi occhi scuri della mia amica e dalla sua chioma di capelli corvini. Certo non gli si sarebbe potuto dar torto. Allora non potevo sapere che sarebbe stata sua la colonna sonora per il film tv Cellini – Una vita scellerata del 1990, per la regia di Giacomo Battiato, con cui il musicista non ha alcuna parentela, e che ancora più tardi avrebbe collaborato con Angelo Branduardi, nell’album L’Infinitamente piccolo, nel brano a due voci Il Sultano di Babilonia e la prostituta.
Nella mia vita ho incontrato molti “uomini straordinari”, e alcuni tra loro hanno lasciato un segno sulla mia anima, nel bene o nel male, ma pochi, pochissimi anzi, come “maestri” forse perché io non ero pronto ad essere il loro discepolo. Chissà forse un giorno, tra qualche anno, non è ancora il momento, seguirò il folle consiglio di chi vorrebbe scrivessi la mia biografia e allora – ammesso che lo faccia – racconterò molte cose che poi, non interessano a nessuno. Del resto, allora la mia amica seguiva gli insegnamenti dello scrittore Georges Ivanovič Gurdjieff, che io – lo confesso – invece non ho mai capito. Ma ero giovane e sciocco e a tutt’oggi non ho mai più riletto Gurdjeff e aspetto ancora “ritorni presto l’Era del Cinghiale Bianco”.
Ricordo poi che ci salutammo, Battiato aveva di certo cose più importanti che dedicare il suo tempo a un ragazzo che allora credeva di sapere già tanto, perché aveva letto qualche libro in più della maggior parte dei suoi coetanei. Salutai anche Mandel, del resto ero lì soltanto per far compagnia alla mia amica, non essendo né un sufi né islamico, quindi li lasciai alle loro pratiche ascetiche, per attraversare le strade deserte di una Milano invernale, così lontana dal luogo dove partono i treni per Tozeur…
Non rividi più né Battiato né Mandel e qualche mese più tardi anche il cammino con la mia amica naqshbandi si divise, conducendo ognuno di noi – com’è giusto che sia – in altre direzioni e verso nuove mete, perché non è per nulla scritto da nessuna parte che tutto sia “per sempre”, l’importante è ciò che muta in noi, risvegliandosi per condurci a una nuova consapevolezza.
Aggiornato il 19 maggio 2021 alle ore 12:08