“Dante in Duomo”: Milano sveglia le coscienze

Massimiliano Finazzer Flory torna a leggere Dante ai milanesi, e lo fa con lo spettacolo “Dante in Duomo”. Lo fa con lo spirito rivoluzionario che dovrebbe animare tutte le nostre coscienze, perché libertà politiche e culturali non sembrano garanzia intangibile. E lo sapeva bene Dante Alighieri che, seppur guelfo bianco, venne definito “ghibellin fuggiasco” da Ugo Foscolo. Dante, Guelfo bianco (guelfo e moderato), essendo un po’ meno filo-pontificio dei Guelfi estremisti (i Guelfi Neri) era sospettato di simpatie ghibelline. Questa convinzione di un Dante ghibellino non è una forzatura poetica occasionale, ma la persuasione profonda e costante del Foscolo. Nel suo scritto dantesco più impegnativo (Discorso sul testo della Commedia di Dante), Foscolo afferma testualmente: Dante “Ghibellino implacabile”.

Dante è certamente più nelle corde di un milanese. Infatti, secondo Foscolo e tanti altri, Dante sarebbe sempre stato un ghibellino coperto, cioè un filo-imperiale costretto a fingersi guelfo papalino. Il suo amore per l’Impero e la sua avversione per il potere romano significava indignazione verso le trame delle famiglie nere pontificie, che non erano certo buoni cristiani.

“Dante – diceva Foscolo definisce – poeta di nome terribile e di mente implacabile contro la Chiesa”. Foscolo e il suo maestro e mentore Vincenzo Monti scrivono in un carme alla contessa Malaspina “ramingo della patria e caldo / d’ira e di bile ghibellina il petto”.

Il Dante del Foscolo è dunque prima di tutto l’irato, amaro e bilioso detrattore del potere romano. Attraverso la lettura fatta da Finazzer Flory udiremo le veementi terzine che, nella bolgia dei simoniaci, Dante rivolge al Papa Niccolò III: posto in una buca a testa in giù, rimproverandogli la prostituzione della Chiesa, schiava del denaro, identificata addirittura con la fiera mostruosa dell’Apocalisse; in contrasto con la frugalità e povertà della Chiesa primitiva. “E mentr’io li cantava cotai note / o ira o coscienza che ’l mordesse / forte spingava con ambe le piote”.

La fiamma ardente è sarcastica allusione, parodia del contrappasso: la dimenticata fiammella dello Spirito Santo che scese sugli apostoli a Pentecoste. Il poeta lotta per i valori fondanti della Chiesa di Cristo. Il Dante di Ugo Foscolo è il ghibellin fuggiasco del celebre passo dei Sepolcri in cui, magnificando Firenze, il poeta le attribuisce il privilegio di aver assistito per prima allo spiegarsi del Canto dantesco.

Ecco che Finazzer Flory un po' testimonia noi tutti ghibellini in difesa delle libertà e della cristiana socializzazione. La manifestazione “Dante in Duomo” è di fatto un evento foscoliano. “Dante in Duomo” è la lettura integrale della Divina Commedia sotto la direzione artistica del regista e attore Massimiliano Finazzer Flory, in collaborazione con la Veneranda Fabbrica del Duomo e la Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Così ogni giorno, dal lunedì al venerdì alle 18,30 fino al 9 luglio, due Canti verranno introdotti e recitati in presenza del pubblico e in diretta streaming sul canale YouTube e sulla pagina Facebook del Duomo di Milano e in diretta televisiva sul canale 195 del digitale terrestre di ChiesaTv.

La settimana si è aperta con una novità spettacolare: la danza contemporanea ha raccontato lunedì scorso, attraverso le coreografie di Michela Lucenti e l'interpretazione di Elisa Spina e Paolo Rosini, i canti XXI e XXII dell'Inferno, dove vengono puniti i barattieri. Mentre venerdì 21 maggio Elena Balestracci interpreterà i canti XXIX e XXX, dove sono puniti i seminatori di discordie e i falsari. Gli altri canti della settimana, sempre letti teatralmente da Finazzer Flory, sono: oggi Canti XXIII e XXIV; mercoledì 19 maggio Canti XXV e XXVI; giovedì 20 maggio Canti XXVII e XXVIII. Attraverso il messaggio dantesco si spera possa destarsi l'Italia prostrata, piegata su se stessa.

 

Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 17:02