Fisico e sguardo da adolescente impertinente, una eterna fanciulla innamorata del suo lavoro e del suo pubblico. Questo è il ritratto che più calza alla signora del teatro italiano: Paola Quattrini. Generosa nei modi e nelle esternazioni. Piena d’amore per il prossimo, tanto da inventarsi un teatro da pianerottolo durante la pandemia. Attrice e doppiatrice, debutta a quattro anni conquistando così il titolo di bambina prodigio. A soli otto anni il debutto alla radio. Nello stesso periodo si avvicina al doppiaggio dando la voce a numerosissimi personaggi amati dai ragazzi. Su tutti, Daphne nella serie a cartoni animati Scooby-Doo.

Interpreta oltre quindici film da bambina, tanto da essere soprannominata la Shirley Temple italiana. La ditta Garinei e Giovannini è stata sua compagna di avventura per molti anni, senza però disdegnare altri autori come Pasolini, Sartre, Williams. L’aver calcato presto le tavole del palcoscenico le ha dato la possibilità di lavorare con i più grandi della metà del Novecento, arricchendo sempre di più il suo curriculum, senza per questo farsene un vanto, anzi, quasi non essendone consapevole.

Disponibile con i colleghi più giovani, ha un modo pacato e gentile nell’esprimere i suoi concetti. Al settimo cielo per essere protagonista di un evento storico, quello di aver riportato la gente a teatro dopo più di un anno di chiusura totale causa Covid-19. Infatti, è in scena fino al 23 maggio al Teatro Manzoni di Roma con lo spettacolo Oggi è già domani. Quasi due ore sul palco da sola e padronissima della scena. Non c’è un angolo del palco che non viene calpestato, mentre la frittata di asparagi prende quasi fuoco.

Attorno alla sua Dora Valenti (questo il nome della protagonista) ruotano tanti personaggi: un marito stanco, due figli annoiati, amiche pettegole e salvatrici, un playboy greco, un muro e una roccia. La fantasia e la dolcezza del personaggio principale saranno rivoluzionarie nella semplicità del percorso di una donna stanca, sì, ma anche decisa a non arrendersi alle evidenze. Il monologo scritto da Willy Russell – e nella versione italiana da Jaja Fiastri – è un vero e proprio cavallo di battaglia per l’attrice. Un piccolo capolavoro, acquistato in America appositamente per lei da Pietro Garinei che porta anche la firma della sua ultima regia, con la musica del Maestro Armando Trovajoli. Raggiungo la Quattrini telefonicamente nella sua casa romana e in un primo momento si invertono i ruoli, è lei ad intervistarmi. La sua dolcezza nell’essere protettiva è disarmante, al punto che quasi mi scordo del perché l’ho chiamata. E allora butto fuori la prima cosa che mi incuriosisce nelle persone: sapere perché portano il nome che hanno.

Perché ti chiami Paola?

In realtà mi chiamo Paola Antonia Aurelia ma mi sarei dovuto chiamare Paolo. Dopo tre femmine, i miei genitori desideravano un maschio, inizialmente furono un po’ delusi dalla quarta femmina. Gli altri due nomi sono dovuti alla grande devozione che mia madre aveva per Sant’Antonio da Padova e per Sant’Aurelia.

L’hai avvertita la loro delusione?

Assolutamente no. Anche perché quando avevo solo dieci anni persi mio padre e diventai così il maschio di casa. Lavorando come enfant prodige riuscivo a mantenere tutta la famiglia, diventandone il capo. In un certo senso il maschio di casa.

Credi nel destino?

Sì, anche se poi ognuno se l’aggiusta con le proprie mani. Credo in un disegno per ognuno di noi, però poi va aiutato con la costanza, la determinazione, la volontà.

In molte interviste sostieni di non aver fatto scuola di recitazione. Cosa pensi di tutte le Accademie che nascono come funghi?

Frequentare un’Accademia può essere d’aiuto per affinare un talento che, però, si deve già avere. Quello non te lo può insegnare nessuno, si ha nel Dna. Io ho avuto la fortuna di lavorare con grandi personaggi, maestri di vita, prima ancora che sulle scene. Mi hanno insegnato il rigore, la disciplina, il rispetto per un luogo sacro come è il teatro. E io mi sentivo così protetta da alcuni di essi che prendevo tutto come un grande gioco, ricalcando quello che facevo da bambina. Imparavo il mestiere senza prendermi sul serio, ma impegnandomi seriamente. Oggi alcune cose sono andate perdute. Non esiste quasi più la scaramanzia, il viola è stato sdoganato, sulla serietà degli orari avrei da ridire, ma i tempi sono cambiati e bisogna adeguarsi. A me è rimasta ancora la scaramanzia del fischio, non devo sentire fischiettare prima di uno spettacolo. Prima non si poteva lavorare a maglia, per esempio. Dietro le quinte mi muovo con rispetto per tutto quello che incontro, dalle scenografie alle attrezzerie. Una volta Mario Scaccia, mi disse che dovevo fare attenzione dietro le quinte, mi dovevo muovere come se fossi stata in un negozio di gioielli preziosi.

Quando sei sul palco, prima dell’inizio dello spettacolo, ci sono dei riti che fai solitamente?

Se c’è una cosa che amo fare è chiudere gli occhi e sentire il bisbiglio della gente. Da come attende capisco se lo spettacolo andrà bene. Sabato e domenica ho goduto davvero molto. Dal vociare avevo già capito che sarebbe andata così. Avevano voglia di teatro e sono stati accontentati.

Porti in scena questo spettacolo da molti anni, che edizione è questa?

Mai come in questo momento si ha bisogno di speranza. Indubbiamente si avverte voglia di rinascita e, data la storia, mi sembra davvero adatta al periodo che stiamo attraversando. Ho un feeling pazzesco con il pubblico, si avverte questa voglia di rinascita. Lo spettacolo cambia ogni sera, anche se il copione è lo stesso. Può essere più triste, più allegro, veloce o lento. Molto dipende dal pubblico, la riuscita è da dividere al 50 per cento con gli spettatori. A me serve solo il “la”. È come per una canzone, la voce e gli strumenti. Anche i silenzi sono importanti. A volte sono più importanti delle battute. Non è semplice fare una pausa, bisogna saperla fare, dosare bene i silenzi, appunto. Non è facile tenere il pubblico per due ore incollato a una poltrona. In quelle pause mi piace ascoltare il silenzio: il cibo per la mia mente. È pregno di emozione quel silenzio. Più difficile di una battuta di William Shakespeare… una tecnica che coinvolge tutto il corpo.

Come ti sei sentita alla fine della prima al Manzoni?

Io sono particolarmente affezionata a questo spettacolo, anche perché è stata l’ultima regia di Pietro Garinei. Mi sono sentita appagata e innamorata di me stessa, proprio come Dora. Se non sei innamorata di te stessa non potrai mai amare gli altri.

Che nome ha l’amore per Paola Quattrini?

Ha il nome di un solo uomo. Ho amato solo un uomo, un uomo davvero speciale. Una passione travolgente, forse perché non l’ho consumata fino in fondo. Si possono avere tante storie ma l’amore è uno.

Come hai trascorso questo anno di pandemia?

In questi lunghi mesi ho imparato la pazienza, io che sono una frenetica. Ho fatto la pulizia della casa, ho messo ordine. Non riuscivo a leggere, quello proprio no. Mi dovevo stancare fisicamente. Ho fatto recitare le signore del condominio. Ci incontravamo con le dovute precauzioni e mettevamo in scena spettacoli per noi, per sentirci vive. Poi ho fatto una cosa nuova, ho girato un corto: Fedora. Una bella esperienza che mi sta dando tante soddisfazioni. È la storia di Fedora Ducan, girata completamente in verticale (Vertical Movie), soggetto e sceneggiatura di Enrico Andrea Marrari. È stato presentato al Vertical Movie Festival 2020 e mi hanno consegnato il Premio Speciale della Giuria. Un altro premio come migliore attrice al Dubai Independent Festival 2021. Il corto è arrivato tra 1500 film provenienti da tutto il mondo al Festival di Los Angeles. Tutti premi inaspettati. Tutto è partito da Marco Coretti uno stilista che ha disegnato un vestito folle di cristallo. Dall’abito è nato il resto. E non mi aspettavo fosse andata così bene. Non avevo mai fatto un corto, e mai una cosa sperimentale e in maniera gratuita. Invece… ha avuto un risultato notevole.

Hai una figlia e sei nonna. Che mamma sei?

Sì, mia figlia è una doppiatrice. Ora sono una mamma presente e una nonna presentissima. Prima ero spesso in giro per lunghe tournée, cercavo di supervisionare su tutto, ma ero oggettivamente sempre in viaggio. Ora siamo più vicine.

Progetti futuri?

Stiamo già facendo le prove di Slot, una commedia tagliente scritta e diretta da Luca De Bei. Con me in scena Paola Barale e Mauro Conte. Debutteremo il 15 luglio in piazza Sant’Agostino al Cinquantacinquesimo Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Intanto mi godo la mia città e lo spettacolo a cui sono davvero molto legata.

Aggiornato il 14 maggio 2021 alle ore 12:03