Madchester: quando eravamo british

La cantina è impolverata, perché uno ci torna quando serve o per necessità, un po’ come le visite obbligate ai parenti durante le feste comandate. Laicissimamente, tra un colpo di spugna e uno di tosse, parte il pippone riflessivo “Oasis o Blur?”. Occhi al cielo, dubbio amletico, sudorazione fuori controllo tipo quando alla lavagna la prof lasciava una formula chimica da bilanciare ed è subito un altro round: “Madchester über alles... ma quanto eravamo british”.

La fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta è sempre una soglia di demarcazione di un vintage che, ai giorni nostri, ritorna. Forse perché l’evoluzione della specie non ha fatto passi avanti. O forse li ha compiuti, ma ancora è bloccata davanti a quella maledetta lavagna. Eppure in quel periodo partì nell’area urbana di Manchester un mischione tra rock alternativo, rock psichedelico, hip-hop, dance, acid house che, come dicono a Roma, scansate proprio.

The Stone Roses (una religione nella città dove Eric Cantona diventerà The King), Happy Mondays, Inspiral Carpets, The Charlatans, New Order (dopo lo scioglimento dei Joy Division a seguito del suicidio della leggenda Ian Curtis), Primal Scream, The Smiths, The Hacienda come locale di riferimento e la pellicola da sogno 24 Hour Party People: furono loro, solo per citarne alcuni, i precursori del Britpop, padri e madri di Oasis e Blur (ancora loro), Kasabian, Infadels. Tanta roba, sì. Ma anche tanta musica e tanto stile: abiti casual, jeans con zampa larga, magliette abbondanti, il parka, cappellini da pescatore. Un paradiso all’improvviso, con i nordici mancuniani che volevano dare una lezione ai londinesi in materia di sette note... “oh find me, find me, nothing more. We are on a sullen misty moor”.

“Con la periferia di Manchester, con le sbronze nei pub di Colchester, con le chitarre con la Union Jack (...) coi pettegolezzi sulla Royal Family, con l’alienazione di Edimburgo; ma noi poveracci, che andavamo all’Irish pub sulla Tiburtina, che facevamo le vacanze studio a Londra, che avevamo nonna, zia e mamma intrigatissime dalle tresche di Carlo e Camilla, insomma, noi che c’entravamo? Un mistero, un’incognita” (Errico Buonanno-Luca Mastrantonio, “Notti magiche. Atlante sentimentale degli anni Novanta”, Utet). Mainstream un tanto al chilo? Forse, ma chi se ne frega. Alla fine, dopotutto, ci sentivamo dei fighi.

La cantina è sempre impolverata, perché uno ci torna quando serve o per necessità, un po’ come le visite obbligate ai parenti durante le feste comandate. Adesso a (quasi) 42 anni, parafrasando il maestro Beppe Viola, invece di quella prof di Chimica, ci sono una moglie, due figlie e l’impressione di essere preso per il culo. Però la questione è sempre quella – “Oasis o Blur” – e la risposta è sempre quella: quando tutti ascoltavano i primi, preferivo i secondi. Ma questa è un’altra storia.

Aggiornato il 07 maggio 2021 alle ore 12:08