Martedì e Dantedì, giovedì invece…

Il nostro è il Paese delle commemorazioni e degli anniversari, anche se per lo più soltanto di coloro che ricorrono scolasticamente nella memoria del politicamente corretto e quindi si rinnovano più o meno ciclicamente solo i fasti dei grandi come Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e infine come quest’anno che tocca, sommerso dalle zone rosse che tutto impediscono, al buon Dante Alighieri.

Insomma, quasi sempre solo gli stessi, mai che qualcuno indica un anno dedicato a Jacopone da Todi, a Ugo Foscolo o a Cesare Borgia, mai un ricordo per Andrea Mantegna o per Giorgio Mainerio, basandosi dunque sempre e soltanto su un copione stabilito e sicuro per tutti che non turbi gli animi e che garantisca l’accettazione del “grande” di turno da parte della popolazione, colta o meno.

Ecco che “padreDante non fa eccezione, citato malamente con imprecisioni ormai divenute colloquiali e perciò entrate a far parte del lessico comune, va sempre bene. Osannato da progressisti e da conservatori, rivestito da colori politici improponibili, oggi il “ghibellin fuggiasco” è diventato un brand da sfruttare a trecentosessanta gradi, a cominciare dalla ricorrenza del 25 marzo dell’anno del Signore 1300, nel quale ebbe inizio il suo ultraterreno viaggio. In quest’occasione allora si è stabilito, per questo stesso giorno di settecentoventun anni dopo, il Dantedì, la prima giornata nazionale in omaggio al poeta, istituita dal Governo su proposta del ministero per i Beni e le Attività culturali. Bene. Plaudiamo al fatto, meglio ricordarlo che dimenticarlo in effetti, così come è stato fatto sin troppo spesso per altre figure di insuperabile altezza culturale, ma che questa volta “non potrà che essere esclusivamente digitale” ha dichiarato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini.

Il che forse a Durante detto Dante non avrebbe fatto molto piacere e qualcuno di certo all’inferno, a cominciare dal ministro, lo avrebbe spedito facilmente. E così da tempo è cominciata la solita banale, stantia, scolastica, ovvia e scontata retorica sul povero fiorentino dal naso adunco e dalla battuta salace. Dante patriota, Dante padre della lingua italiana, Dante di qui, Dante di là… tutto è Dante, nulla è Dante. E tutto questo perché è morto, dunque ci si approfitta dell’assenza, in quanto se fosse stato vivo non saprei dire quanti avrebbero osato scrivere certe sciocchezze sul suo conto. Così le “letture dantesche” che sino a poco tempo fa riunivano in ristretti cenacoli pochi interessati, oggi diventano lezioni virtuali a distanza aperte a tutti, il che non sarebbe poi un male, se invece si spiegasse realmente – ma necessiterebbe una comprensione che è da e per pochi – cosa veramente si celi “dietro al velame de li versi strani”. Molto meglio continuare ad usare l’Alighieri come una bandiera da sventolare dove più si crede, alla bisogna.

L’ipocrisia regna sovrana a suon di hashtag e tanti saluti a Gabriele Rossetti, abilmente sostituito dallo scrittore di moda Gianrico Carofiglio. C’è di buono che le reti Rai, in tale occasione, rimanderanno in onda dai loro archivi, le performance di grandi attori come Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi per concludere con Roberto Benigni, che leggono passi dalla Commedia. Giustamente in un suo intervento sulle pagine dell’Avvenire, Franco Cardini ha scritto a tale proposito che questi dell’anno dantesco in corso sono “tempi di trasformazione epocale della cultura diffusa in seguito alla crisi delle istituzioni tradizionali scolastiche e universitarie e del diffondersi dei social (con la conseguenza allarmante di un intensificarsi della confusione dei linguaggi e della perdita progressiva di ancoraggi culturali autorevoli sui quali fondarsi)”, pertanto tutto è in linea con questa forma di estensione per tutti e di appiattimento verso il basso.

Parlerà allora qualcuno di Beatrice in maniera che non sia soltanto il vagheggio erotico – e già sarebbe qualcosa – di un giovane Dante, di coloro che, molto dopo la loro vita, furono chiamati “Fedeli d’Amore” ovvero di Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Guido Guinizelli? Qualcuno rievocherà il magistero d’Amore risalente a Platone fuso poi con la dottrina aristotelico tomista? E i Templari? Che vogliamo lasciar fuori l’Ordine Templare, il Santo Graal, Montségur e i Catari? Suvvia, c’è un intero anno su Dante da colmare! In un Paese civile, quale il nostro non è più da tempo, l’anniversario del viaggio iniziatico e metafisico di Dante degli Alighieri attraverso i tre mondi, avrebbe potuto essere l’occasione per approfondire e liberare tutto da inutili cascami pseudoculturali, politicamente stantii quanto falsi e invece ci ritroviamo a rimarcarli senza le adeguate conoscenze.

Allora è tutto inutile? No, non lo credo, voglio anzi pensare fortemente che tutto questo trionfo di banalità, imprecisioni e inesattezze su Dante e sul suo mondo, che poi è il Medio Evo, anzi una delle innumerevoli, possibili, Età di Mezzo, sia un punto di partenza, uno stimolo, una scintilla che accenda un gran fuoco di conoscenza in qualcuno. Magari tra quei giovani oggi tanto lontani da un’età fatta di luce e di sapienza quale fu la nostra di sette secoli o poco più fa e da quel Dante Alighieri, appiattito sulla retorica attuale, possa partire a far ali al folle volo della propria consapevolezza, nel cercare di comprendere quali meraviglie l’attendono, se soltanto saprà farsi guidare da un Virgilio che sia un mago e non soltanto un motore di ricerca.

Aggiornato il 24 marzo 2021 alle ore 09:54