Insegna Creonte, gli errori di chi governa

Nell’Antigone i due protagonisti – Antigone e Creonte – sono da millenni simboli di polarità contrapposte tra diritto naturale e positivo; tra legge divina ed umana; tra principio femminile e maschile (Georg Wilhelm Friedrich Hegel). E poi tra diritto tradizionale e diritto “moderno”, razionale-legale e statuito dall’autorità politica (Max Von Seydel). Nel secolo scorso, era Antigone a suscitare più consenso ed interesse: Creonte era considerato l’archetipo del tiranno. Nel XXI, almeno tra i giuristi italiani, è stato (in parte) rivalutato. Probabilmente ha contribuito a ciò quanto notato (nel XX) da Max von Seydel: che Creonte impersona il diritto (e lo Stato) moderno, weberianamente “razionale-legale”.

Luciano Violante, che nel libro “Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte” aveva notato la “modernità” di Creonte, in questo ne sottolinea gli errori (politici) che lo portano all’autodistruzione. In ogni capitolo il comportamento di Creonte è considerato esempio di quanto un leader non debba fare: essere arrogante, non saper gestire i conflitti, sopravvalutare se stessi. E porta esempi di errori (analoghi a quelli del Re di Tebe) fatti da uomini di Stato contemporanei: da Alcide De Gasperi a Matteo Renzi, da Bettino Craxi a Francesco Cossiga. Ne consegue che già la tragedia greca indicava 25 secoli fa delle regolarità e delle regole della politica (e dell’esistenza umana) le quali, anche a distanza di millenni, sono confermate.

E quanto alle “costanti” è anche un terzo personaggio della tragedia, Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone ad esprimerne, e forse quella decisiva. Emone, parlando col padre, lo invita a tener conto dell’opinione del popolo che non considera meritevole Antigone della condanna; onde prega il padre di “non portare in te soltanto questa idea, che è giusto quello, che dici tu, e nient’altro… non così dice concordemente il popolo, qui in Tebe… non esiste la città di un solo uomo… certo tu regneresti bene da solo su una terra deserta”. Ma Creonte non è scosso: convinto di essere dalla parte della ragione, non tiene conto della diffusa (e opposta) opinione del popolo. Non comprende che comanda con successo il governante che può contare sull’obbedienza dei governati. Per aversi la quale occorre che le opinioni di governanti e governati non siano in contrasto, ma si fondino su un idem sentire de re publica. È (o è anche) il principio d’integrazione (del tipo “materiale”) che Rudolf Smend pone a fondamento della costituzione “come principio del divenire dinamico dell’unità politica” (Carl Schmitt). E il contrasto tra ritenere che il legislatore sia divino o umano è ovviamente tra i più acuti e non mediabili.

L’autore, come detto, ricorda fatti contemporanei di governanti che hanno ripetuto gli errori di Creonte: vuoi per arroganza, vuoi per disprezzo del popolo, vuoi per convinzioni radicate. Viene così ridimensionato l’errore più diffuso nell’ultimo trentennio e in particolare (ma non solo) in Italia. Ossia la mancanza di sintonia con la volontà popolare, anche attraverso la prassi di scegliere governanti mai eletti neppure in un condominio, e la cui rispondenza alla scelta democratica è inesistente, giustificata con concezioni diverse (tecnocrazia, aristocrazia, moral-buonismo), ma aventi in comune il considerare i governanti capaci di giudizi migliori dei governati. E quindi in espresso contrasto con il principio democratico o con quello, più limitato, dell’idem sentire; lo stesso che porta il re di Tebe alla rovina. Dato che tale errore è tra i più frequenti e ripetuti, in particolare dalla parte politica cui l’autore apparteneva, se ne consiglia (loro) la meditazione. E la lettura a tutti.

Luciano Violante, “Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere”, Il Mulino, Bologna 2021, pagine 158

Aggiornato il 18 marzo 2021 alle ore 09:53