Angeli e astronauti

Nell’anno 2017 scrissi un breve saggio, edito per i tipi di Idrovolante Edizioni, dal titolo “Crociata contro l’arte. Trecento anni di guerra contro il Sacro” che voleva analizzare, spiegare e anche trovare – ammesso esista – una risposta alla perdita di valori estetici nella Chiesa cattolica. Perdita avvenuta sempre con maggior rapidità negli ultimi tre secoli sino alla continua, devastante e voluta distruzione, scientemente perseguita dalle gerarchie ecclesiastiche e forse dallo stesso Jorge Maria Bergoglio. Ultima evidenza sotto lo sguardo di tutti, è il presepe comparso questi giorni, in piazza San Pietro. Non riporterò le solite, scontate e ormai banali tesi che ripetono a iosa – tutte già sin troppo abbondantemente clonate dal mio libro e dai miei numerosi articoli usciti in questi anni su tale argomento – che instaurano il facile confronto tra i Papi del Rinascimento che incaricavano i più grandi artisti dell’epoca e quelli odierni. Ovvio, banale e scontato, lo lasciamo ripetere, e sottolineo ripetere pedissequamente, a coloro che non hanno né idee proprie né competenza in materia e procedo invece oltre, evitando anche i pietismi lacrimevoli di chi si professa cattolico in cerca di consensi e si sente offeso dallo scempio vaticano.

Dopo la barca dei migranti, il nuovo presepe monumentale giunge da Castelli, in provincia di Teramo, realizzato in ceramica che è la sua eccellente produzione sin dal XVI secolo, opera degli alunni e dei docenti dell’Istituto d’arte “Francesco Antonio Grue” che è considerata una delle maggiori scuole di ceramica, in Italia. L’opera, non recentissima perché risalente agli anni Settanta, si compone di cinquantaquattro sculture, ma soltanto una parte di esse verrà collocata nell’abbraccio del colonnato di Gian Lorenzo Bernini, su una pedana luminosa che circonda l’obelisco. Vi saranno raffigurati i principali protagonisti della Natività, ovvero oltre alla Sacra Famiglia, l’Angelo e i Re Magi. Potrà essere peggio del presepe esposto qualche giorno fa, al Duomo di Torino, dove le statue della Vergine, di San Giuseppe, Magi e pastori sono stati dotati di mascherina regolamentare? Forse no, perché quello abruzzese, seppur indubitabilmente e in maniera indiscutibile, brutto, non sfocia nella blasfemia ma nella più semplice creatività postmoderna di quegli anni. Diciamo che, ancora una volta, l’incompetenza delle gerarchie ecclesiastiche ha mostrato tutta sé stessa, andando a recuperare qualcosa che deve essere rimasto per decenni chiuso in un magazzino e con le più trite giustificazioni, riesumato e ripresentato in pubblico oggi.

Questo allora dimostra che non esiste più un’arte sacra o più semplicemente del Sacro? No, dimostra ed evidenzia soltanto l’incompetenza e l’ignoranza che ormai caratterizza questa oscura fase del Cristianesimo occidentale. Inutile perciò invocare Caravaggio – che tra l’altro a suo tempo ebbe non pochi problemi con l’autorità ecclesiastica preposta – o le “esoteriche” madonne leonardiane, anche loro fonte d’inquietudine presso il clero del tempo, o le più rassicuranti vergini raffaellesche. No, tale discorso seppur possedente una sua verità e dignità, non è più sostenibile in quanto non è per alcun punto paragonabile l’attuale situazione, artistica, culturale e sociale a quella di un momento unico e irripetibile per il mondo quali furono i secoli Quattordicesimo e Quindicesimo. Quel tempo aureo, altissimo e incantato non tornerà mai più, ed è proprio per questo che le opere di quel periodo assoluto vanno salvaguardate.

Così come, seppur umanamente comprensibili, le critiche di carattere soggettivo sottolineate da livore ideologico, lasciano il tempo che trovano, motivate da quella solita attitudine all’ovvio che fece dire a uno come René Guénon che l’opinione comune della maggioranza sia “l’espressione dell’incompetenza”. Allora dovremmo accogliere favorevolmente il presepe di quest’anno in Vaticano? Assolutamente no. No perché incongruo, no perché è un’operazione moraleggiante artatamente costruita fuori tempo massimo. Lo scopo dell’arte sacra non è raffigurare l’Assoluto, il Principio Divino, perché questo non sarebbe mai possibile con mezzi “finiti” quali sono sia la pittura sia la scultura. Nessuna immagine, per quanto sublime, né occidentale né orientale, potrà mai rendere appieno ciò che è oltre gli umani sensi, neanche la più perfetta pala d’altare fiamminga, neanche quella rappresentazione plastica inverata nel marmo che si fa teologia e metafisica tangibile nella Pietà di Michelangelo, potrà mai riuscirvi. Il fine dell’arte sacra è condurre l’uomo, attraverso di essa, a compiere un passo verso ciò che gli è superiore, trovando sé stesso in quelle immagini e più le immagini saranno belle, quindi vere, più l’anima dell’uomo potrà ricongiungersi con il Primo Principio. Molta arte “sacra” contemporanea è dunque brutta in quanto sgraziata, ovvero priva di grazia, quell’influenza spirituale che l’artista attrae a sé dall’alto e infonde nell’opera. Non vi è grazia nelle sculture di ceramica del presepe abruzzese, perché sono frutto d’una ricerca meccanica e non mistica né simbolica. Certo se ne ritrova di più in un presepe di Thun e a poco vale il disperato tentativo del Governatorato vaticano che sostiene esservi nel presepe “forti i richiami alla storia dell’arte antica, dell’arte greca, di quella sumerica, e di quella egizia” nonché l’opera “vuole essere un segno di speranza e di fiducia per il mondo intero. Vuole esprimere la certezza che Gesù viene in mezzo al suo popolo per salvarlo e consolarlo. Un messaggio importate in questo tempo difficile a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19”. Mi domando sinceramente dove abbiano studiato costoro, per vedervi richiami all’arte greca e addirittura a quella dei Sumeri…deduzioni discutibili suffragata dal nulla come ormai è costume da tempo…da troppo tempo.

Va altresì detto che il presepe in San Pietro, qualunque presepe venga allestito, non riveste le caratteristiche dell’arte sacra ma, al più, è un esempio (più o meno pregevole) di arte applicata, il che non ne fa qualcosa di minore ma semplicemente di diverso, restando comunque indubbio il fatto che tutto questa operazione “artistica” sia in realtà meramente ideologica e volta ad utilizzare l’opera come strumento di propaganda – proprio oggi quando il Vaticano da tempo ha rinunciato per esempio, al proprio padiglione alla Biennale di Venezia – come non avveniva con i pontefici precedenti al vescovo di Roma. Il messaggio incluso nell’opera è sempre quello pauperistico, tanto amato da Bergoglio e dai suoi sodali, che risente del tempo in cui fu concepito, con gli evidenti richiami allo spazio e alle allora recentissime conquiste della luna. Un messaggio dunque pienamente postconciliare, rispolverato oggi senza neanche temere il ridicolo, quello stesso ridicolo nel quale però incadono anche alcuni moralisteggianti cattolici pronti ad indossare armature oltranziste senza averne alcun diritto. Non ci resta dunque che sperare avvenga un nuovo, piccolo ma significativo evento simbolico, quale quello che successe sempre nel presepe di Piazza San Pietro, qualche anno or sono, quando, vuota la culla che avrebbe accolto il Santo Bambino, una gatta vi prese posto a ricordarci che la sua stirpe, fu quella degli Dèi e che una come lei, narra un vangelo apocrifo, assistette alla nascita del Salvatore dando alla luce i propri piccoli nel medesimo istante in cui nacque Gesù. È il Mistero celato nella Madonna del Gatto, di Leonardo da Vinci e tanto ci basta perché, come ogni vero mistero, non deve essere né svelato né compreso da chiunque, perché a chiunque per essere salvo deve bastare la Fede, al Sapiente invece è necessaria la Conoscenza.

Aggiornato il 14 dicembre 2020 alle ore 10:18