David. Come il piccolo Re d’Israele che vinse il Gigante Golia. O come David Copperfield che visse una vita straordinaria, narrata dal film omonimo, tecnicamente perfetto, diretto da Armando Iannucci, che firma anche la scenografia. Le scene iniziali sono aperte da una sequenza dinamica di flashback con i soggetti che appaiono dal nulla sui campi, per dirigersi uno alla volta in tempi distanti e separati, ma molto ravvicinati, verso una bella casa della campagna inglese dove una donna soffre le doglie del parto, assistita da una governante inoperosamente affaccendata e visibilmente panicata.

Le rotondità muliebri saranno un invariante del racconto per designare donne dalle forme abbondanti, di una bontà intrinseca e allegria innate, protettive e fattrici, immutabili nella miseria più nera come nell’abbondanza. Sia il materno che l’amore adolescenziale hanno invece fattezze eteree, un po’ insipide, ancillari e vacue, come Clara, la debole madre di Copperfield, e  la sua prima giovane fidanzata Dora (non a caso interpretate dalla stessa attrice).

L’Arca dell’Alleanza, invece, che lega il protagonista della storia e il suo autore che si racconta in prima persona è una sorta di cassetta degli attrezzi, una logora tabacchiera, dove David (un brillante Dev Patel, l’anima maschile del famoso The Millionaire) conserva fin da piccolo brandelli di carta (veri e propri pizzini) sui quali sono riportate, in bella calligrafia, note di colore e descrizioni folgoranti dei personaggi incontrati dal protagonista durante la sua vita. Un vero tesoro, da sottrarre a qualunque costo a ladri occasionali incrociati lungo la strada. Sarà proprio questo patchwork a fare da matrice e da robusto telaio al romanzo adulto, così come consegnato ai posteri nella sua versione definitiva.

Il David giovane si incontrerà e parlerà più volte, attraverso un’originale finestra dello spazio-tempo, con il David straccione bambino, orribilmente sfruttato come tanti altri piccoli operai della sua età, impiegati in fabbriche insalubri e dai ritmi infernali di lavoro, maltrattati e picchiati da caporali abbrutiti dalla violenza e dall’alcool. Perché, in fondo, il padrone dell’epoca vittoriana assomigliava al più terribile e spietato dei patrigni, con diritto di vita di morte sulle creature avute in affidamento da genitori in miseria, o da consorti di secondo letto troppo terrorizzate e ancillari per poter offrire un minimo di tutela ai loro figli naturali.

Ma la Londra delle stelle e delle stalle, con le sue case borghesi e bassifondi proletari, in cui topi e bambini condividevano gli stessi spazi, è un’impagabile impastatrice di umanità, che ti lascia innamorare di un tenero imbroglione che vive la sua vita a scrocco, perennemente inseguito da un crocchio di creditori inferociti, mentre lui continua imperterrito a ingravidare la sua donna sempre felice e irresponsabile, fedele seguace del carpe diem e della parola del Vangelo che invita a non preoccuparsi degli affanni quotidiani come fanno gli uccelli del creato, che in qualche modo troveranno nutrimento.

Come in tutte le storie che si rispettano, nell’ombra si muovono i protagonisti di sempre, il male e il maligno, che falsificano la verità attraverso l’opera melliflua del loro viscido servo Uriah Heep (interpretato da un bravo Paul Whitehouse) e dell’orribile strega madre di lui, manipolando l’amicizia per farne strumento del tradimento con il fine di violare ora il nono comandamento (non desiderare la donna d’altri. Dilemma: quindi una donna può desiderare l'uomo di altre?), ora l’ottavo (non dire falsa testimonianza), in cui l’imitazione fraudolenta di una firma costringe a scendere negli inferi della nera miseria chi viveva nell’agiatezza, come la zia di David, Betsey Trotwood e il suo originalissimo cugino, il pazzo sapiente Mr. Dick con la testa e i pensieri di Carlo I d’Inghilterra, finito decapitato.

Anche qui, la storia dei lutti insepolti e delle ingiustizie mai risarcite sono dei posit appuntati sulla testa e sulla lunga corda di un leggero aquilone per anziani ragazzi. Nelle scene all’aperto dal basso verso l’alto i volti degli attori protagonisti sono inseguiti da un gioco di macchina che sale come una corrente d’aria, per cogliere in primo piano i dialoghi e le espressioni stupite o divertite dei viaggiatori, legando movimento sul terreno e paesaggio circostante con passaggi successivi a volo d’uccello, come farebbe uno sparviero osservando carrozze e carri da contadini, a volte traduttori di allegria, a volte di arroganza e cupa vendetta per far sparire un corpicino ribelle.

Vivamente consigliato.

Aggiornato il 07 ottobre 2020 alle ore 11:54