Il 2 agosto Vincenzo Cappelletti avrebbe compiuto 90 anni, sfolgoranti di sapienza e di stile, di gentilezza e di magnanimità, di un’autorevolezza che si accompagnava a una grazia rara, da cui emanava un’aura di luminosità che chiunque poteva immediatamente percepire. Ricordarlo, in questa occasione e a due mesi dalla scomparsa, significa non soltanto riportare alla memoria, personale e collettiva, la sua figura intellettuale ed esistenziale, ma anche riaffermare il valore del suo insegnamento – accademico, scientifico, culturale, etico, politico ed estetico – come esempio da riprendere e diffondere oggi, come modello per generazioni nate in un’epoca in cui anche la sola idea di modello tradizionale da seguire sembra antiquata, addirittura sospetta, perché fraintesa come imposizione, come coercizione (ecco ancora i frutti velenosi del sessantottismo); meglio seguire gli influencers.
Questa mancanza di comprensione del valore assoluto dell’esempio legato alla tradizione è un’autentica tragedia per la nostra cultura, per la nostra intera civiltà. Infatti, quando si perde il senso del rapporto fra autorità e autorevolezza, fra retaggio e civiltà, si finisce per perdere l’identità, propria e del contesto, ovvero l’identificazione di sé con una storicità più ampia. Forse, in questa tragica realtà attuale dell’Occidente, il limite di non ritorno è già stato varcato, e allora, come suggeriva Spengler, non ci resta che vivere eroicamente questo momento, assolvendo stoicamente al nostro compito storico, restando al nostro posto pur sapendo che il destino è segnato. Se però rimane ancora una sola possibilità che la traiettoria declinante che vediamo profilarsi possa essere invertita, allora dobbiamo lottare, non meno eroicamente, fino in fondo, ricorrendo a tutti gli strumenti che la nostra civiltà ci ha fornito, dei quali il concetto di formazione, la Bildung cioè intesa nel senso più ampio, è uno dei principali e dei più efficaci.
E così entra in scena, anzi continua a stare sulla scena, Vincenzo Cappelletti, illustre interprete di questo coraggio, di questo eroismo della verità che egli ha personalizzato con uno stile dove prevale la semplicità, un’assoluta naturalezza nell’esprimere i più alti contenuti scientifici e culturali. Egli ha incarnato, sulla scia delle grandi figure della nostra cultura nazionale ed europea, questo canone della formazione, quell’insieme di criteri e comportamenti che si è stratificato nella storia, che si è sedimentato nella coscienza e che ha prodotto la nostra civiltà. Non solo la sua sterminata conoscenza e la sua straordinaria capacità di trasmetterla, ma anche la sua eleganza intellettuale e morale rappresentano un modello che dev’essere vivificato e adottato proprio oggi, in un’epoca in cui l’indistinzione non equivale solo alla massificazione delle opinioni e al livellamento delle qualità personali, ma esprime anche lo smarrimento della più ampia identità di una civiltà.
Per esporre in forma analitica tutto il suo itinerario, ci sarebbe bisogno di un intero volume, tale è la ricchezza della sua biografia intellettuale, e perciò qui mi è possibile solo tratteggiarne alcuni aspetti, auspicando nel contempo che quel volume così necessario venga presto scritto (e i suoi tanti amici ed estimatori saranno senz’altro pronti). Professore, filosofo, storico della scienza e della medicina, uomo di cultura e uomo delle istituzioni, ricercatore di prima grandezza, docente appassionato, conversatore raffinato e al tempo stesso sempre in grado di sintonizzarsi con l’interlocutore, chiunque egli fosse, uomo di scienza e nel contempo assolutamente devoto alla religione cattolica, uomo politico non in senso tecnico ma nel senso originario aristotelico e pater familias di livello tanto eccezionale che sembrava venire direttamente da Roma antica.
Se dovessi immaginare un personaggio in cui ritrarre al meglio la Adel des Geistes descritta da Thomas Mann, penserei proprio a Vincenzo Cappelletti, sulla cui figura quella nobiltà spirituale sembra addirittura ritagliata. Oltre a ciò, egli è stato una delle menti universali della nostra epoca, che univa la conoscenza dei grandi tornanti del pensiero scientifico a una straordinaria comprensione dei dettagli storico-culturali e perfino psicologici della civiltà occidentale, come dimostra, per fare solo un esempio, la sua monografia su Freud, che egli è riuscito a spiegare in modo impareggiabile – perché era non solo un conoscitore della psicoanalisi ma anche un autentico professore di filosofia –, e a decifrare e inglobare su un piano storico più ampio.
In questo suo tratto didattico assolutamente sovrano e nella sua non meno regale capacità di concepire la curvatura culturale delle istituzioni, lo paragonerei a Giovanni Gentile, del quale è stato anche successore, lontano nel tempo ma vicinissimo nello spirito, alla presidenza dell’Istituto Italiano di Studi Germanici. E a Gentile lo collega ancor più tangibilmente la sua conduzione, da direttore generale (1970-1992) e, successivamente, da vicepresidente e direttore scientifico (1992-2002) dell’Istituto dell’Enciclopedia Italia. Gli esiti estremamente positivi di questo trentennale servizio presso la maggiore istituzione culturale nazionale sono lì, in piena evidenza, a testimoniare l’intelligenza e la dedizione che Cappelletti ha riservato a questa istituzione, come a ogni altra a cui ha donato il suo impegno.
Intelligenza, dedizione, e anche visione strategica. Un esempio illuminante: quando nel 2003 viene nominato commissario straordinario dell’Istituto di Studi Germanici, non cerca soltanto di farlo funzionare al meglio delle potenzialità, ma pensa a come valorizzarlo, anche in base allo spirito con cui era stato fondato, immaginando di elevarlo da ente culturale a ente di ricerca, affiancando cioè in esso riflessione culturale e ricerca scientifica, e riesce, con un eccezionale impegno di cui egli mi permise di essere diretto testimone, a convincere il potere legislativo della validità della sua idea e a trasformarlo così nel 2006 in Ente pubblico nazionale di ricerca sotto la competenza del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, dando così vita al primo Ente di ricerca nazionale in campo umanistico (gli altri infatti inerivano alle cosiddette “scienze dure”), del quale viene nominato presidente. Fu un suo successo personale, un capolavoro di visione e di azione, del quale, come spesso accade, le cronache possono anche dimenticarsi, ma che resterà per sempre nella memoria della cultura nazionale.
Dal 1970 al 2011 ha presieduto un’altra importante istituzione scientifica come la Domus Galilaeana, il prestigioso centro di studi e ricerche dedicato a Galileo, e anche qui ha saputo infondere il suo talento insuperabile, quello cioè di coniugare la conoscenza con la prassi o, come potremmo anche dire, la cultura e la vita. Fra le molte iniziative strutturali da lui avviate nella Domus, va ricordata l’apertura della Scuola superiore di scienza. E anche qui Cappelletti incrocia Gentile, perché fu un comitato presieduto da Gentile a elaborare, nel 1938, il progetto per un istituto nazionale in onore di Galileo e a fondare ufficialmente, nel 1941, la Domus.
Ulteriori esempi di questo talento – ma la serie potrebbe continuare a lungo – sono la presidenza della casa editrice Studium (e dell’autorevole omonima rivista), che egli ha guidato con competenza e discrezione, valorizzandone il patrimonio ideale, che egli mantenne strettamente legato al mondo cattolico arricchendolo però con tutti i contributi che avessero valore autentico; la fondazione nel 1957 – insieme con il fraterno amico Aldo Ferrabino, personalità cruciale della cultura italiana novecentesca –, della rivista «Il Veltro», ricchissimo snodo culturale nazionale da lui diretto insieme con la sorella Virginia, raffinata studiosa e geniale organizzatrice; le presidenze dell'Académie Internationale d'Histoire des Sciences (dal 1989 al 1997), della Fondazione Nazionale Carlo Collodi (dal 1988) e, pure dal 1988, della Società Europea di Cultura, con sede a Venezia e promossa nel 1950 da Umberto Campagnolo; oppure, in un ambito in cui si univano cultura e politica, l’attività di consigliere della Fondazione Alcide De Gasperi, che egli svolse con risultati sempre all’altezza del proprio nome e di quello del grande statista trentino, come per esempio quando nel 2004 realizzammo, insieme con Armando Tarullo, vicepresidente della Fondazione, la trasferta a Berlino della mostra su De Gasperi, alla quale associammo un convegno su «De Gasperi e Adenauer, padri fondatori dell'Europa», organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura che allora dirigevo e dalla Fondazione Adenauer, coinvolgendo l’allora presidente del Senato italiano Marcello Pera e tedesco Dieter Althaus.
Anche sul piano politico, la presenza di Cappelletti è sempre stata fulgida, netta per quanto riguarda lo schieramento, ma considerata e trattata con totale rispetto anche dalla parte avversa. Egli fu un conservatore dialogico e, quindi, aperto alla ricezione di idee positive non in contrasto con il sistema valoriale della tradizione, ma risoluto nella salvaguardia dei princìpi del liberalismo classico e nella difesa irremovibile dei fondamenti cattolici, di tutti i valori di quella tradizione che ha creato l’Europa spirituale e politica.
Il saper «stare al mondo» era in lui una dote naturale, un talento che la sua lunghissima esperienza sempre ai massimi livelli scientifici e culturali ha affinato, facendo di lui un maestro, non solo sul piano docente ma anche su quello dello stile di pensiero e di comportamento. Generalmente si intende l’espressione «saper vivere» come la capacità di vivere con soddisfazione destreggiandosi tra le asperità, mentre il saper vivere che traspare da ogni azione, da ogni gesto di Vincenzo Cappelletti corrisponde al «vivere bene» aristotelico, nel quale si armonizzano etica e conoscenza, saggezza e cultura, consapevolezza di sé e rispetto per gli altri, identità e relazione; un ideale austero ma al tempo stesso pienamente inserito nelle pieghe concrete della società. La sua è stata un’autentica scienza della vita, una piena comprensione sia razionale sia emotiva della realtà, una sapienza che ha contraddistinto la sua intera vita e che perdura intatta anche dopo la morte.
Vincenzo Cappelletti non è stato soltanto una solida colonna della cultura italiana, ma anche un punto di riferimento esistenziale, una persona nobile e sensibilissima a cui ci si poteva rivolgere con la certezza di trovare ascolto, consiglio e spesso anche soluzione. Il piacere di aver collaborato con lui e l’onore di aver ricevuto la sua amicizia restano un ricordo indelebile e sempre vivo, per me come per chiunque abbia ricevuto il dono della sua vicinanza, che dall’aldilà oggi è solo più intermittente, ma non meno intensa.
Aggiornato il 30 luglio 2020 alle ore 12:51