L’intervista a Luigi Pruneti

La Porta d’Avorio, La globalizzazione all’ombra del Kali-Yuga” è il suo ultimo libro che si avvale di un titolo particolare, tratto dalla mitologia classica. Per gli antichi la porta d’avorio era quella da cui uscivano i sogni ingannevoli, mentre quelli veritieri venivano dalla porta di corno. Lei paragona il fenomeno della globalizzazione a un sogno nefasto, che ha reso torpide le menti, assoggettato gli umani. Ne illustri le ragioni.

Delle due porte dei sogni ne parlarono Omero, Platone, Virgilio, Orazio, per i quali i sogni menzogneri uscivano dalla porta più bella, quella di candido e prezioso avorio, in quanto ciò che inganna ha un aspetto piacevole e suasorio, attrae, illude e promette. Così è stata la globalizzazione, un sogno di felicità, di benessere, di consapevolezza, di giustizia, di pace di libertà. La terra sarebbe diventata un “giardino globale”, un nuovo eden, dove l’agnello e il leopardo avrebbero giocato insieme sui gioiosi giardini del terzo millennio. La realtà si è mostrata ben diversa, l’umanità è stata ingannata.

Il suo testo si potrebbe paragonare a un manifesto “no-global”?

È certamente un testo “no-global”, ma non è un manifesto, giacché non ne possiede l’aspetto, né la struttura. Un manifesto espone un programma, detta delle regole, “La porta d’avorio” si limita a illustrare uno stato di fatto e a individuarne la genesi e le dinamiche di un processo totalizzante. Suppone solo la speranza di un risveglio che implichi un’opposizione a questa deriva di disumanizzazione.

ll Kali-Yuga, epoca del conflitto, della crisi, è l’ultima di quattro ere, ognuna contraddistinta da un metallo, e conclude il periodo ciclico Manvatara dell’umanità. Sulla copertina la “Dea Kālī” con la lingua estroflessa rossa di sangue: la Madre nera del Tempo, la Dea della trasformazione. Perché è stata scelta Kālī e non Kali, il demone maschile del “conflitto”?

L’immagine di copertina è un’elaborazione artistica effettuata da Paolo Del Freo, un vero e proprio maestro nella grafica computerizzata. L’illustrazione s’ispira liberamente al pantheon indù. Perciò quella figura, così catturante, rappresenta sia il demone che la divinità. Il demone, come visualizzazione simbolica della globalizzazione, la divinità come speranza di una reazione a questo processo disumanizzante. “Kālī”, non dimentichiamolo, è colei che uccide il demone Raktabīja e nello “Shivaismo kashimiro” è potenza ed energia; la potenza e l’energia, aggiungo, appartengono alla coscienza risvegliata.

Il suo libro ha il sottile intento di risvegliare le menti, a suo avviso il “gregge umano” si potrà salvare? La sua rigenerazione potrebbe coincidere con la fine di questa epoca di povertà spirituale che stiamo vivendo?

Certamente. Dopo la notte viene sempre il giorno e dopo la tempesta torna sempre il sereno. Toccato il fondo del baratro dell’edonismo consumistico, imposto dal mercato globale, l’uomo prenderà di nuovo coscienza di essere qualcosa di più di un consumatore; riscoprirà i valori, ritornerà alla dimensione dello spirito e si scrollerà di dosso il giogo del materialismo.

La data comunemente accettata per l’inizio del Kali Yuga è il 3102 a.C., anno della morte fisica di Krishna, ma molti fanno coincidere tale inizio oltre il 4000 a.C., in concomitanza con il nascere delle civiltà... Di tale epoca Guénon sostiene che il Kali Yuga è prossimo alla fine e che la stessa avverrà nei primi decenni dopo il 2000. Oppure, come altri paventano durerà un totale di 432mila anni. Quale, invece, in sintesi, la Sua visione?

Il nome “Kali Yuga” è stato preso in prestito dalla tradizione indù, nel contesto del libro ha un mero valore simbolico. Vuol significare solo un periodo oscuro, dominato dall’ipocrisia, dal ribaltamento dei valori, dal dominio di un’economia egoista su una politica delle virtù e del pensiero. Quanto durerà questa era delle tenebre non lo so, certo non migliaia di anni, ma un periodo molto più breve, perché le dinamiche attuali ruotano a velocità sempre crescente, perciò credo che, fra qualche decina di anni, la luce di una nuova alba apparirà sugli orizzonti umani.

Dell’era della pandemia ne parla nell’ultimo capitolo del libro, dipingendo uno scenario in cui si mischiano fantascienza, realtà, teorie del complotto, citazioni filmografiche, ipotesi dittatoriali, scenari horror

Non mi sembra di aver fatto sfoggio di fantasia nel capitolo da lei citato. Ho preso per buona la sentenza della scienza “ufficiale”: il Covid-19 ha origine zoonotica, ergo naturale essendo una mutazione di virus già esistenti in pangolini e pipistrelli; ho precisato, inoltre, che alla scienza “ufficiale”, cioè supportata dal potere e a sua volta funzionale al potere, non ci si può opporre, perché è verità di fede, è dogma e chi si oppone alla verità “ufficiale” viene, perlomeno, bruciato sui roghi mediatici dei “professionisti dell’informazione”, i guardiani della verità “ufficiale”, dettata dalla scienza “ufficiale”, ramificazione del potere oltre che “ufficiale” effettivo. In seguito ho semplicemente annotato che le guerre odierne e del prossimo futuro, se condotte su uno scacchiere globale, saranno combattute con armi informatiche o biologiche. Infine, mi sono limitato a rilevare come lo stato emergenziale abbia definitamente rottamato la Costituzione, peraltro già in disarmo da almeno vent’anni. Contestualmente, a titolo di mera curiosità, mi sono limitato a trascrivere ciò che affermava Gaston Bouthoul, negli innocenti anni Cinquanta sul fenomeno della cristallizzazione del potere, nelle situazioni emergenziali come la guerra; egli diceva: l’emergenza: “è la soluzione più lusinghiera per i governati. Appena dichiarata, anche il più insipido degli uomini politici arrivato al potere diventa una specie di pontefice massimo aureolato di gloria”. Niente fantasia, dunque, solo realismo.

Se fosse alla guida del nostro Paese, quali provvedimenti adotterebbe? Una sua riflessione anche in ragione dei limiti temporali e del ciclo produttivo imposto, che snaturano l’uomo.

Se trovassi la lampada di Aladino, con tanto di genio, esprimerei questi tre desideri: primo: che i cittadini ritornassero a essere non più sudditi, ma popolo sovrano, secondo: che la politica cessasse di essere ancella dell’economia e della finanza e rispondesse al popolo sovrano e non ai consigli d’amministrazione delle transnazionali, terzo: che l’uomo da consumatore tornasse a essere uomo. Il trionfo del mercato globale, che mira a una crescita esponenziale, ha inchiodato l’uomo sulla croce dei consumi che, dimentico di ogni valore, ambisce ormai solo alla soddisfazione dei bisogni indotti e alla corona di spine del successo.

Potrebbe scaturire un movimento di opinione, dopo la diffusione di questo libro, di cui Lei potrebbe esserne giusto “leader”?

Un movimento di opinione, seppure frammentario e contradditorio esiste già: io non sono un leader ma un uomo libero che ha il coraggio di testimoniare ciò che pensa.

A quali fonti e spunti si è ispirato per scrivere questo testo, oltre alla realtà stessa in cui viviamo?

Sono molti gli autori che mi hanno supportato, alcuni di loro li ho incontrati molti anni fa, altri sono conoscenze più recenti, ma li ho sempre tenuti tutti presenti come si usa fare con i buoni amici. Non sto qui a elencarli, le loro opere sono riportate in bibliografia. Mi limito a ricordarne alcuni di loro, senza far torto agli altri: Bobbio, Calogero, Guénon, Heidegger, Klein, Lasch, Michéa, Marx, Nietzsche, Orwell, Popper.

Uno scrittore, un artista tiene sempre molto alla sua ultima opera, la sua creatura più giovane, il suo “amore” più recente... È così anche per Lei riguardo questo testo?

Certo, ma non dimentico gli altri figli, fanno sempre compagnia al vecchio padre.

Ha già in mente quale sarà la sua prossima “creatura artistica”?

Ho bisogno di disintossicarmi un po’, ritornerò forse alla poesia e poi, dietro l’angolo, ho un personaggio che mi aspetta. È irrequieto, instabile, a volte disarmante e ingestibile, ma possiede il raro dono della simpatia.

Aggiornato il 08 giugno 2020 alle ore 11:10