Il ministero della tristezza

Cominciamo con l’affermare che sia una vera e propria inaccettabile vergogna, la decisione che è stato costretto a prendere Arrigo Cipriani, il patron del famoso e storico locale di Venezia, di chiudere il suo Harry’s Bar.

Per coloro che lo ignorassero, il pubblico esercizio fondato nel 1931 da Giuseppe Cipriani, padre dell’attuale proprietario, è stato dichiarato, nel 2001, patrimonio nazionale dal ministero dei Beni culturali in quanto fu frequentato da personaggi illustri della cultura, come Arturo Toscanini, Georges Braque, Truman Capote, Charlie Chaplin, Somerset Maugham, Orson Welles e altri, divenendo una sorta di “zona franca” dalle inique leggi razziste imposte durante il Ventennio, raggiungendo forse l’apice della sua fama nel dopoguerra con la costante presenza a un suo tavolo, esclusivo, di Ernest Hemingway.

È comunque all’estro creativo di Giuseppe Cipriani che si deve la creazione del cocktail denominato Bellini, in onore del grande pittore veneziano Giovanni Bellini e il piatto di sottilissime fettine di controfiletto di manzo conosciuto come Carpaccio, proprio perché il suo colore rosso ricorda l’omologo pigmento scarlatto utilizzato dall’artista quattrocentesco Vittore Carpaccio, l’autore del ciclo dedicato a San Giorgio.

Musicisti come Paolo Conte e Fabrizio De André citano il locale nei testi delle loro canzoni, a dimostrazione di come il bar veneziano sia divenuto, nel tempo, oggetto di culto dell’immaginario colto della società attuale, metafora del luogo d’incontro tra le differenti nazioni nella città dogale che si affaccia tra Oriente e Occidente.

Non sarà certo l’unica vergogna, perché siamo certi che centinaia di altri locali, meno noti ma non meno importanti per la vita sociale d’un Paese, saranno costretti a chiudere a causa delle nuove regole imposte dall’esecutivo che ha fatto dell’insipienza e della vera e propria follia il segno distintivo di un governo d’improvvisati autocrati. Un decreto liberticida che andrà a devastare l’Italia molto più di qualsiasi infezione epidemica, che, ormai è palese, sta andando a ridursi ogni giorno di più, con l’ingresso della bella stagione.

Assistiamo così a un incremento continuo, a una vera e propria progressione geometrica di folli norme dettate dall’assoluta mancanza di volontà di comprensione e che invece appaiono piuttosto basate sull’incutere paura, se non terrore e a mantenere un vero e proprio Stato di polizia.

Come se tutto questo non fosse sufficiente, ancora una volta il premier Giuseppe Conte si adopera per non fallire l’occasione di parlare degli artisti che “ci fanno tanto divertire e appassionare”. Conte ripresenta così il luogo comune che si ha della Cultura e dell’arte nella nostra penisola, considerando gli artisti, e dunque qualsiasi forma d’espressione artistica, soltanto produttori di “divertimento” e di “intrattenimento”. Nulla di più di una partita a basket, insomma, questo è per il primo ministro il Teatro, la Poesia, una mostra o un concerto: divertimento, puro semplice divertimento, non diverso da una gita a Disney World o a Mirabilandia.

Continuo a voler intravedere, sottotraccia ma non così tanto da non essere sospetto, un ben preciso disegno di eliminazione di qualsiasi aspetto della cultura reale e nobile dalla vita degli italiani, riducendola appunto, al più, a un qualcosa di “nazional popolare” con il quale passare il tempo, indistinguibile in fin dei conti da una serata al karaoke o al bowling.

Eppure, né Conte né i suoi epigoni, vassalli, valvassori e valvassini diffusi trasversalmente in tutto l’arco costituzionale, riescono minimamente a comprendere che l’arte, gli spettacoli teatrali, le mostre, i concerti e altro che afferisca al cosiddetto mondo della Cultura, non soltanto producono un miglioramento dello spirito dell’uomo, un miglior tenore di vita e perciò anche una miglior salute, ma contengono in loro il germe aureo della gioia e della serenità, e dunque, in ultimo del divertimento. È esattamente l’opposto di ciò che si ostinano ad inocularci con i media: più si vivono l’arte e la cultura, meno ci si ammala. Sì, anche di coronavirus!

Conte evidentemente ignora il sottile, a volte erotico piacere, che si può trarre in “picciola brigata”, tra “felici pochi”, ad andare a vedere l’esposizione pittorica d’un artista, oppure nell’assistere a una prima teatrale o ancora a un concerto d’archi. Piacere, godimento, gioia, e quindi divertimento, sono tutti antidoti al male del vivere, antidoti persino a quel temutissimo virus che invece tanto favorisce le manovre governative. L’obiettivo del Governo sembrerebbe quello di ottenere un popolo triste e asservito, malato, quindi bisognoso perennemente di tutela, soggetto a timori paventati ad ogni angolo e quindi tutelato come fosse incapace di provvedere a se stesso.

Se vogliamo è quello che l’avvocato John Milton, alias Lucifero, ne L’avvocato del Diavolo dice in quello strepitoso monologo finale recitato da Al Pacino: “Fissa le regole in contraddizione, una stronzata universale. Guarda ma non toccare, tocca ma non gustare, gusta ma non inghiottire. E mentre tu saltelli da un piede all’altro, lui che cosa fa? Se ne sta lì a sbellicarsi dalle matte risate! Perché è un moralista! È un gran sadico!”.

Ecco dunque cosa sta diventando lo Stato italiano, ride sganasciandosi delle disgrazie dei suoi cittadini, i quali spesso, felici, lo applaudono.

Aggiornato il 15 maggio 2020 alle ore 20:49