Trovo singolarmente inquietante la somiglianza di Giuseppe Conte con il Ritratto d’ignoto creato dal raffinato pennello di Antonello da Messina nella seconda metà del XV secolo e oggi custodito nel Museo Mandralisca di Cefalù, una piccola casa-museo privata in provincia di Palermo.

Lo stesso sguardo obliquo, sottilmente in tralice di colui che ha sempre un altro pensiero nascosto dietro gli altri, in una malcelata confusione che traspare da quei suoi occhi dipinti dall’artista quattrocentesco. Curiosità, similitudini della fisiognomica umana che si ripercuote e ritorna lungo i secoli e ci riporta ad alcuni modelli dell’umanità apparentemente dimenticati, che invece continuano a rigenerarsi nel flusso del tempo.

Molte sono le differenti supposizioni su chi fosse il gentiluomo ritratto da Antonello, ipotesi che difficilmente troveranno una risposta o una conferma definitiva, ma quello che mi preme è invece notare come dopo poco più di mezzo millennio, ritroviamo quello stesso aspetto in un uomo dei nostri giorni che adesso occupa il più alto scranno di Palazzo Chigi.

È lo stesso sguardo – quello del misterioso individuo del dipinto – di un uomo che non dà suggerimenti ma ordini, e se fossero tali i primi lo sarebbero soltanto in quanto mascherati… L’uomo di Antonello non fa concessioni ma comanda senza chiedere altro che l’obbedienza cieca, pronta e assoluta. Chi sia l’oggetto dei suoi ordini è un mistero, se essi vadano a qualche suo confratello in qualche occulta gilda o a un semplice servitore non ci è dato sapere. Di quest’opera non sappiamo né chi l’abbia commissionata – proprio come non sappiamo chi abbia eletto Giuseppe Conte – né la sua origine. Secondo la tradizione orale fu acquistato, o donato stando ad altri, dal barone Enrico Pirajno di Mandralisca dell’isola di Lipari nel 1859, per la propria collezione d’opere d’arte, mentre il premier italiano è stato imposto al popolo dello stivale soltanto da un mero gioco di palazzo. Sono consonanze e dissonanze.

Il Ritratto d’ignoto di Antonello è un olio su una tavola lignea di piccole dimensioni, che offre a colui che lo osserva il sorriso cinico di un uomo che si considera superiore agli altri, beffardo e irrisorio come sarebbe soltanto chi sa cose che altri non conoscono. Tuttavia secondo recenti studi, l’enigmatico personaggio sarebbe un potente vescovo e al tempo stesso ambasciatore, precettore di re Ferdinando II d’Aragona, di nome Francesco Vitale, di origini pugliesi, che resse la diocesi di Cefalù dal 1484 sino alla propria morte avvenuta nel 1492 e che conobbe Antonello a Venezia. Pugliese dunque, l’uomo del dipinto, proprio come Conte che è originario di Volturara Appula, un comune in provincia di Foggia e come lui altrettanto poco incline ad acquisire le simpatie di coloro che lo circondano.

Che un simile volto ritorni dopo centinaia d’anni non deve far temere alcuno, sono tuttavia ben altri i segni inequivocabili che ai nostri giorni, la volontà di dominio più cupa e – a tratti – crudele, si manifesti in un uomo che invece dovrebbe avere a cuore le sorti dei propri compatrioti, e invece di mascherare dietro il sorriso il bastone di ferro della tirannide, quello stesso sguardo obliquo, traverso, ci dice che il potere per il gusto di essere sé stesso, dunque predominio e negazione d’ogni libertà, non muta mai. Antonello da Messina, uno dei più grandi pittori della nostra Rinascenza lo seppe riconoscere nel ritratto che egli fece di un uomo allora di grande potere, ma la domanda è:

Oggi, se esistesse qualcuno in grado d’indagare con tanto grande acume psicologico attraverso l’arte, si dipingerebbe Giuseppe Conte nella sua apparenza oppure dietro di lui si dovrebbero raffigurare le ombre oscure di coloro che realmente manovrano le sorti di questo mondo?

La risposta a tale quesito ce la darà soltanto il futuro e gli eventi che vivremo, ma intanto quell’uomo, vescovo, marinaio o semplicemente perfido individuo ci osserva irridendoci dall’alto di cince secoli… Conte ci irride direttamente dalla televisione.

Aggiornato il 29 aprile 2020 alle ore 12:15