Oggi vi porto nell’affascinante mondo dei costumi di scena, dei lustrini, delle paillettes, delle crinoline, dei bustier, degli abiti d’epoca. Nel fantastico mondo dello spettacolo, del balletto e del cinema c’è un costumista di fama internazionale con gli occhi azzurri come il mare del luogo che gli ha dato i natali e che tuttora ospita la sua creatività. Il suo nome è Giuseppe Tramontano. Quando si dice “un nome, una garanzia” nel suo caso è davvero così. Tramontano nasce a Sorrento ed è lì che ha la sua sartoria-laboratorio, è lì che crea i suoi bozzetti, è da lì, dal balcone di casa sua che mi risponde, mentre sorseggia un caffè guardando il Vesuvio in lontananza. Tramontano fin da giovanissimo dedica tutto il suo tempo alla creazioni degli abiti di scena.  La passione, quella del cucito, gli viene trasmessa dalla mamma che usava ago e filo per diletto, e forse qualche volta tra uno gnocco alla sorrentina e una delizia al limone, avrà dovuto sistemare un pantalone a quadrettini bianchi e neri del papà, chef molto noto nella zona. Chi ha il privilegio di conoscere Giuseppe Tramontano si rende conto della sua enorme semplicità perché lui è davvero così: un po’ ingenuo, un po’ sognatore. Con un candore unico racconta di come spazia in maniera eterogenea dal balletto, al teatro, al cinema, ai costumi d’epoca. E di quando ha vestito stelle della danza come Rudolf Nureyev, Carla Fracci, Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato solo per fare alcuni nomi. Tra le sue creazioni più significative: i costumi per una esibizione di sei ballerine davanti a Papa Woytjla; il Capodanno su Rai Uno dal Teatro La Fenice, prodotto da Vittoria Cappelli; lo spettacolo “Belcanto” prodotto dalla fondazione Luciano Pavarotti Heritage; “Un Americano a Parigi” con Cristian De Sica; Edith Piaf di Carlo Lizzani e l’incontro con Zeffirelli, con cui diventa amico condividendo la bellezza per l’arte come espressione suprema. Numerosi riconoscimenti gli sono stati conferiti, tra cui l’Oscar della danza nella sua prima edizione. Affezionato alla sua terra, Giuseppe Tramontano pur girando il mondo, ha deciso di non lasciare mai la sua fonte principale di ispirazione. Mentre sorseggia il caffè, il secondo da quando parliamo, ammette che la sua creazione più riuscita è quella che gli ha permesso di dare vita al suo atelier, situato nel cuore di Sorrento. Una realtà straordinaria in cui crea e realizza, grazie anche alla collaborazione di suo nipote Christian, di tante sarte e assistenti costumisti, abiti di scena indirizzati a tutto il mondo. Tra manichini, bozzetti, colori, stoffe, puntaspilli, foto, dediche e ricordi. Non cambierebbe la sua città con nessun posto al mondo e ammette che ogni volta che si reca in un altro Paese non vede l’ora di ritornare a Sorrento, dove ci sono profumi e sapori che solo lì riesce a trovare e ritrovare.

Da dove nasce la tua passione per i costumi teatrali?

Ritengo che la passione per qualunque cosa nella vita, sia un mix fra scienza e percezione della bellezza vissuta sul campo. Non voglio confondere la passione con il talento, ma quando si parla di arte, gli elementi che la compongono sono così impalpabili dal punto di visto oggettivo della realtà che non riesco a razionalizzare la passione per il costume. E’ una predisposizione del mio essere. La vita quotidiana, il mio vissuto a un certo punto si è fuso con l’arte, fino a plasmarla. Ricordo che da piccolo mi divertivo a fare vestitini ai pupazzetti che mia madre aveva in casa, perché ero stanco di vederli sempre con lo stesso abitino. Così di volta in volta, trasformavo i pupazzetti e le bambole collezionate da mia madre in spose, contadine o regine… successivamente è nata la passione per la sartoria, per il teatro, la natura umana. L’appetito vien mangiando, no? Da giovanissimo ho manifestato il desiderio di voler passare il mio tempo utilizzando le stoffe e i ritagli che reperivo qua e là in casa mia, grazie al fatto che mia madre amava molto cucire. In effetti mi ha trasmesso lei questa passione, una grande eredità. Ho passato la mia giovinezza nel mio atelier, dove già 40 anni fa, si tagliavano e cucivano abiti e costumi artigianali. E’ lì che ho imparato i segreti del mestiere ed ho potuto esercitare la mia creatività e manualità, fino a quando sono diventato un costumista professionista ed ho disegnato i primi abiti di scena. Il resto è storia.

Quando vedi un pezzo di stoffa sai già per quale ruolo potresti creare un costume, oppure avviene il contrario?

Di solito, non ce’ una regola precisa. Non c’è un criterio logico o tecnico a cui mi affido. Seguo l’istinto. Bisogna cogliere l’attimo. Non c’è un tempo preciso e non vi sono sequenze prestabilite da dover rispettare.  Spesso la stoffa non la vedi neanche materialmente, la immagini nella tua testa, la crei, la colori e poi controlli se è disponibile sul mercato reale. Insomma, l’arte è un continuo mutamento. Spesso mi risulta difficile reperire le stoffe, proprio perché devono corrispondere esattamente a come le ho immaginate. Non parlo del materiale di cui è composta la stoffa, ma dei disegni, le sfumature, i ricami e i colori incisi sul materiale stesso. E’ una ricerca infinita che deve soddisfare le mie esigenze e il mio modo di concepire l’arte. Poi certamente capita anche che avendo la stoffa in magazzino la associo a quel particolare costume che devo realizzare, oppure capita che avendo disegnato uno specifico costume lo adatto ad un determinato tipo di stoffa, ma questa è l’eccezione piuttosto che la regola. 

Hai creato costumi per molti nomi importanti della danza internazionale, chi ti è rimasto nel cuore e perché?

Senza ombra di dubbio Carla Fracci, e non aggiungo altro. Se permetti preferisco conservare quei bei ricordi nel cuore. Sono sensazioni che difficilmente si riescono a spiegare a parole. Ci sentiamo spesso ancora oggi e quando sento la sua voce è sempre una forte emozione.

Il tuo quartier generale si trova a Sorrento, località amata nel mondo. Come stai attraversando questo periodo in cui non ci si può muovere, e come ti sei organizzato con i tuoi dipendenti?

 Questa brutta pandemia ha confinato l’arte e lo spettacolo in un angolo buio, dal quale tutti noi cerchiamo di affacciarci per scorgere una nuova luce. Attualmente i miei dipendenti, per effetto del decreto in corso sono in cassa integrazione, ma sono fiducioso che presto qualcosa si muoverà. In positivo, per tutti. Non dimentichiamoci che dal buio nasce la luce.

A cosa stavi lavorando prima che l’epidemia ci impedisse di continuare nelle nostre normali attività?

Prima del lockdown stavo lavorando ad un progetto con Marianela Núñez, che tra l’altro è tuttora in corso, nel senso che anche ora, da casa, mi ci sto impegnando con grande dedizione ed intensità. Sto anche lavorando a diversi progetti per l’Accademia Nazionale di danza, il Teatro dell’Opera di Roma, Vittorio Biagi, Vittoria Cappelli. Tutti progetti che presto saranno resi noti. L’arte è fatta anche di suspense.

Come pensi che sarà dopo, quando ritorneremo a vivere

Il dopo Coronavirus me lo immagino chiaramente a colori. Sono un ottimista di natura e quindi non posso che sperare in un mondo migliore. Certo ci sarà una modificazione radicale dell’approccio relazionale, ma sicuramente assisteremo ad un nuovo modo di percepire l’altro. In questi giorni abbiamo imparato a cooperare per il bene comune. Abbiamo imparato che senza solidarietà fra le persone non ci può essere vita. Abbiamo imparato che la ricchezza materiale non è un fattore indispensabile per acquisire la serenità. Abbiamo imparato che la salute è un bene prezioso. Ed abbiamo imparato, come ha detto Papa Francesco, che abbiamo bisogno di pane, non di fucili e di guerre. Ti pare poco?

Il tuo bozzetto più bello?

Quello che disegnerò domani.

https://www.tramontanofg.com/

Aggiornato il 17 aprile 2020 alle ore 10:30