La rubricaL’Altro Teatro” si adegua ai tempi che stiamo vivendo e non potendo più recensire spettacoli dal vivo, ho deciso di andare a sbirciare nella vita di alcuni operatori del settore teatrale, non solo attori, ma tutti quelli che ruotano intorno a questo ambiente messo a dura prova in questo preciso momento storico.

Per il primo appuntamento ho pensato a Pino Strabioli, un personaggio che si può definire un diamante taglio brillante, una persona che racchiude in sé tante professioni riconducibili tutte all’arte: attore, regista, autore, conduttore televisivo e radiofonico. Profondo conoscitore del varietà a cui dedica molte trasmissioni televisive. Trasmissioni nelle quali non si alza la voce, dove i toni sono pacati e gli ospiti si adeguano al suo modo gentile di essere. Un professionista dall’animo sensibile, concentrato sulla competenza e sui dettagli. Ha raccontato e racconta con garbo la vita di tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo, con un’attenzione particolare per le donne. Nato per caso a Porto San Giorgio da genitori romani, cresciuto nella splendida Orvieto da dove è partito tutto. Inizia a lavorare in teatro nel 1986 sotto la guida di Patrick Rossi Gastaldi, con il quale prende parte a spettacoli di cabaret: Valentin festValentin kabaretKabaret kucheWunderbarDa GastoneSufìMilly.

Con la Compagnia Stabile del Piccolo Eliseo è nel cast di L'uomo, la bestia e la virtù di Pirandello e di Minnie la candida di Massimo Bontempelli, entrambe con la regia di Marco Parodi.

Esordisce in televisione nel 1992 a Telemontecarlo in T'amo TV e da quel momento è un susseguirsi di trasmissioni interessanti, spettacoli teatrali, monografie a personaggi che hanno fatto la storia della tv, del teatro e del varietà. Forte è il suo legame con Franca Valeri e Paolo Poli. Con quest’ultimo oltre a numerosi spettacoli e trasmissioni televisive ha anche scritto un libro edito da Rizzoli Sempre fiori mai un fioraio.

Impossibile citare tutta la carriera di Pino Strabioli, proprio perché si muove contemporaneamente come un folletto curioso in lungo e largo nella grande magia dello spettacolo.

Raggiungo Strabioli telefonicamente, mentre si appresta a fare due passi (rigorosamente con la mascherina e non oltre i 200 m. da casa), per portare a fare i bisogni a Mimma, una splendida trovatella presa in un canile ed ora sua insostituibile amica.

Buongiorno Pino, grazie per avere accettato di rispondere a qualche domanda per “L’altro Teatro”: intanto come stai?

Buongiorno, dai, tutto sommato sto bene.

Ho letto che sei nato a Porto San Giorgio, volevo chiederti qual è il tuo punto Fermo?

Ah no… (sorride), sono nato lì per un puro caso. Siccome mio padre era militare, spesso cambiava città ed è capitato così. Subito dopo i miei si sono trasferiti ad Orvieto e lì sono cresciuto.

Come è nato in te il desiderio di entrare nel mondo dello spettacolo. A chi devi, se devi a qualcuno, la voglia di prendere questa strada?

Lo devo sicuramente alla provincia e a mia madre. Mia madre era una casalinga, ho un fratello più grande di me di sei anni, e questo significava essere quasi figlio unico. Passavo le mie giornate da solo, con la mia fantasia, oppure a seguire mia madre in giro per le varie commissioni. Così capitava che se andavamo dal macellaio tornando a casa mi inventavo una macelleria virtuale, servivo i clienti, affettavo la carne, mi prendevo i soldi e davo il resto. Magari con dei pezzi di carta, o anche con la sola immaginazione. Questo succedeva se andavamo dalla sarta, dal medico, al mercato, ovunque… e poi lo stesso con i primi programmi televisivi, Gabriella Ferri, il varietà del sabato sera. Come si usa ancora adesso, alle scuole medie ho assistito ai primi spettacoli dal vivo al Mancinelli di Orvieto e mi sono perdutamente innamorato del Teatro. Ricordo con quanto stupore e meraviglia vidi lo spettacolo di Peppino Patroni Griffi, quello con Gabriele Lavia, uno con Rossella Falk… e tornando a casa si innescava la stessa modalità imitativa di quando rifacevo il medico o il fruttivendolo. Mettevo in scena nella mia fantasia le immagini che avevo visto, dal protagonista all’ultimo dei ruoli. La vita di provincia ha stimolato la mia creatività, quella che mi porto addosso ancora adesso.

Quando hai deciso di lasciare Orvieto e perché?

Decisi di lasciare Orvieto per Roma a 18 anni, anche spinto dai racconti dei mie genitori, mia madre soprattutto, nativa del Pigneto un quartiere tra la Prenestina e la Casilina, all’epoca considerato di periferia. Ci andavamo spesso perché avevo i nonni, i genitori di mia madre appunto. Mentre mio padre era dei Castelli Romani, dunque il mio contatto con Roma era già molto forte… mi iscrissi all’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico, ma non venni ammesso. Non mi persi d’animo e continuai a frequentare altre scuole di teatro. Volevo fare questo mestiere e andavo tutte le sere a vedere spettacoli, come una necessità di sopravvivenza, più del cibo stesso, dell’acqua, dell’aria. Ovviamente non avevo un soldo in tasca, ma evidentemente questa mia necessità fisica e mentale, doveva trasparire così tanto che mi facevano entrare gratuitamente. E proprio in una di queste sere mentre guardavo in solitudine i mie idoli sul palcoscenico che mi venne l’idea di andare a bussare alla porta di un redattore de “L’Unità” e chiedergli se potevo fare recensioni teatrali. Lui mi disse di sì ed io unii l’utile al dilettevole, andando a recensire spettacoli dei miei attori preferiti. Realizzando così un sogno. Uno dei tanti… una delle prime recensioni la feci a Paolo Poli con cui poi nacque una profonda amicizia.

Quali sarebbero stati i tuoi impegni in questo periodo in cui siamo chiusi in casa per colpa della pandemia?

Sarei dovuto essere al OFF/OFF Theatre di Roma come attore e regista nella commedia Abolite gli armadi, gli amanti non esistono più di Maurizio Costanzo che è tornato a scrivere una commedia teatrale dopo molti anni. Con me in scena anche Sveva Tedeschi, Veronica Rega, Luca Ferrini, Alberto Melone e David Nenci. Contiamo di riprendere da dove abbiamo lasciato appena ci sarà permesso. Mentre il mio impegno radiofonico è immutato. Vado in onda da via Asiago su Radio2 con “Viva Sanremo” una trasmissione in cui presento e racconto canzoni e costumi. Ultimamente ho notato, dai messaggi che mi arrivano, quanto sia importante la compagnia di un programma radiofonico per le persone che hanno poca dimestichezza con i social. Il pubblico è diventato più attento e partecipe. Il ruolo di chi fa la radio assume un significato diverso, più di compagnia. Una voce che racconta in qualche modo rassicura il radioascoltatore.

Quanto è importante mantenere il più possibile un’idea di normalità in questa situazione?

Per me è importantissimo! Preparare le puntate della radio, approfondire gli argomenti da trattare, partecipare il più possibile ad iniziative via web per sensibilizzare le persone a rispettare le indicazioni che ci vengono date. La continuità è vitale.

Secondo te, noi dello spettacolo come ne usciremo umanamente ed economicamente, e quando ne usciremo?

Non sarà certamente un periodo facile, soprattutto per le fasce più deboli economicamente e psicologicamente. Penso a chi ha una convivenza forzata, alle donne che subiscono violenza, a tutte quelle persone che già in condizioni normali vivono una situazione di sofferenza. Quelli che fanno spettacolo non sono immuni da tutto questo, con un’aggravante in più che spesso è la precarietà. Personalmente credo che prima di ottobre, novembre non ne verremo fuori. Probabilmente la natura si era stancata di tutta questa velocità, voleva riprendere fiato. L’augurio è che tutti possano uscirne con un insegnamento e ricostruire piano piano con una nuova consapevolezza il proprio futuro.

Un desiderio professionale che vorresti realizzare?

Continuare a raccontare la memoria in totale libertà.

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Foto: Tiziana Benedet Ugazio

Aggiornato il 10 aprile 2020 alle ore 15:00