Interviste immaginarie: Giovanni Spadolini

Ho conosciuto Giovanni Spadolini nel 1941: eravamo compagni di classe al liceo “Galileo” di Firenze (nella foto in basso, alunni e insegnanti della prima classe del liceo, 1941-42), una delle scuole più famose d’Italia, che aveva avuto fra i suoi alunni Giosuè Carducci, ricordato da una lapide sistemata nell’atrio dell’edificio scolastico. Io ero il più giovane, poiché avevo saltato due classi, la quinta elementare alla “Buonarroti” di Roma e la seconda ginnasiale al “Vittorio Emanuele II” di Palermo, poiché avevo ricevuto la medaglia d’argento come il migliore alunno della scuola (e nel ‘44 avrei saltato anche la terza del liceo). Al “Galileo” ho frequentato solo la prima classe, poiché mio padre, ufficiale di carriera, ogni anno veniva trasferito, sicché la mia famiglia nel ventennio risiedé in dodici città.

A quell’epoca Spadolini era “uno spilungone magrissimo, biondo e roseo, dai tratti infantili, con gli occhi di porcellana celeste spesso spalancati per la meraviglia e per la gioia”: così lo descrisse più tardi ne Le rughe di Firenze Giulio Cattaneo, ex alunno del “Galileo” ma in un’altra sezione (che fu uno dei ‘capistruttura’ della Rai per una rubrica sui libri, di cui facevo le recensioni).

Nel 1987 Nicola D’Amico (che pure aveva collaborato con me ai programmi culturali della Rai e pubblicato su Il Tempo alcuni miei articoli) in un libro sui licei più famosi d’Italia (Eravamo compagni di banco) dedicato ai grandi personaggi che li avevano frequentati, definiva il “Galileo” un “covo di antifascisti” e Spadolini un “tribuno della plebe che istillava i compagni alla rivolta”, quando, alla nostra entrata in guerra, sulla rivista Augustea Spadolini scriveva: “Sarà, sotto l’egida dell’Asse invincibile, la nuova Europa del diritto, della giustizia, della libertà, dell’amore. L’Europa dell’Avvenire. Solo con la solidarietà e la fraternità fra i diversi popoli si può realizzare un ordine duraturo e fecondo, che è poi l’obiettivo di quel blocco di Paesi che fa capo al Patto tripartito”.

Per quello che potei sapere successivamente da un mio ex compagno che del “Galileo” frequentò anche la seconda e la terza classe, Spadolini non era propriamente un antifascista, era semplicemente “deluso” da certi comportamenti del fascismo, ma per D’Amico “molti studenti avevano accettato il fascismo nella convinzione che si sarebbe dissolto o autodistrutto nel volgere di pochi anni” e “gli insegnanti, limitandosi a fare allusioni per non mettere a repentaglio il loro magro stipendio, inviavano alla scolaresca messaggi cifrati, che il più delle volte cadevano nel vuoto in quanto i giovani non possedevano gli strumenti culturali o di esperienza per coglierli e decodificarli, o erano privi di riferimenti alternativi”. Da parte sua il preside (anch’egli antifascista, ma fascista perché teneva famiglia) nel suo rapporto alle autorità “era costretto a scrivere che le manifestazioni promosse e favorite dal Regime con l’intendimento di mantenere viva la fede nei destini imperiali d’Italia hanno trovato l’anima della nostra scolaresca e dei nostri insegnanti pronta ad accogliere la voce esaltatrice ed ammonitrice d’Italia perché il cuore e l’intelletto dei giovani si temprino alla fiamma dell’etica fascista”, e via di questo passo. Un pasticcio, un imbroglio, fra i tanti che alla fine della guerra s’inventarono i “voltagabbana”.

Quanto ai miei ricordi di quel periodo dirò che una mattina, prima ch’entrassi in scuola, alcuni miei compagni che si erano fermati davanti all’edicola sul marciapiede di fronte mi chiamarono a gran voce: sulla prima pagina di Milizia Fascista spiccava una foto della mia famiglia con mio padre al centro, in divisa da console generale (che di lì a poco sarebbe partito per la Russia come capo di Stato Maggiore al seguito del generale Enrico Francisci). Ebbene, quando fummo tutti in classe i professori si congratularono con me, aggiungendo che dovevo ritenermi “fiero di avere un padre così importante”. Lo stesso fecero i miei compagni, compreso Spadolini, dalla cui bocca, almeno in quell’anno, non ho mai sentito uscire una parola contro il fascismo.

Quando alla fine della guerra, dopo un esilio in Calabria con tutta la mia famiglia paterna (eravamo undici figli), mi stabilii definitivamente a Roma – rividi più volte Spadolini, la prima in Campidoglio, non ricordo più in quale occasione, poi una seconda volta quando attraverso la televisione lanciò un appello ai suoi ex compagni del ‘Galileo’ invitandoli a cena in un ristorante di Roma, quindi nel 1994 ad un festeggiamento organizzato dalla Newton Compton Editori, a Villa Caffarelli, nel ventennale della sua fondazione per i collaboratori della sua rivista Ieri, oggi e domani, fra i quali, oltre a me e a Spadolini, c’erano altri scrittori allora famosi e oggi dimenticati. In quell’occasione Spadolini fece un grande elogio a Vittorio Avanzini, l’editore, dicendo: “Sarebbe bello che a Roma sorgesse una grande casa editrice nazionale. Ce ne sono di gloriose, ma badano solo al proprio “particulare”. Bisognerebbe che i romani facessero per la Newton Compton la stessa parte del tifo che fanno per la Roma”. L’ultima volta vidi Spadolini alle Fosse Ardeatine. Era commosso di fronte alle tombe di quei martiri e a un certo punto esclamò: “Se noi non ne saremo capaci, saranno loro, i morti, a salvare l’Italia”.

Ebbene, oggi, dopo pranzo, mentre come al solito me ne stavo seduto sulla poltrona reclinabile del mio studio pieno zeppo di fotografie e di altre memorie del passato, il mio sguardo si è posato sulla foto della mia classe del “Galileo” di Firenze, in cui spicca, ultimo a destra, indicato da una freccia, Giovanni Spadolini, col quale, chiusi gli occhi, ho avuto un altro dei miei colloqui ideali.

“Tu eri uno studente assiduo e brillante in tutte le materie”, ho esordito, “ma allora non mi sembravi un tribuno, come alcuni ti hanno definito, non t’ho mai visto arringare la folla dei compagni. Nel tuo primo articolo su Italia e Civiltà, a cui collaborava anche Giovanni Gentile, tu scrivevi semplicemente che il fascismo ti aveva un po’ deluso perché aveva perso a poco a poco ‘la sua agilità e il suo dinamismo rivoluzionario, mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del liberalismo e i detriti del giudaismo. Proprio quando frequentavi il “Galileo” entrasti in contatto con le organizzazioni giovanili del fascismo e fosti introdotto in alcuni ambienti culturali vicini al regime, come il salotto di Giovanni Papini, e fu in questo contesto che nacque la tua collaborazione con il settimanale Italia e civiltà, che s’ispirava all’idea di “riconciliazione nazionale”, come ho cercato di fare io col mio Conciliatore nuovo. Hanno scritto che i tuoi articoli erano “condizionati dai tempi e dalle influenze del nazionalismo fascista dominante”, cosa che tu hai decisamente smentito. Però dopo la liberazione di Firenze, nell’agosto 1944, cominciasti a leggere anche i giornali antifascisti”.

“Perché, tu non li hai mai letti?”.

“Certamente, anzi, ti dirò che ho scritto alcuni articoli sull’Avanti e su Paese Sera: sono un intellettuale, uno studioso, ho pubblicato diversi libri sugli Italiani, persino una storia in versi dell’Italia, Nave senza nocchiere in gran tempesta, dalle origini ai giorni nostri. Comunque il “Galileo”, anche se vi ho frequentato solo il primo anno, è stato fondamentale nella mia formazione culturale. C’erano professori di grande valore: Guido Di Pino, un dantista di grido, discepolo di Attilio Momigliano, Manlio Rossi, professore di Filosofia, il quale ha dato il via a tante delle mie speculazioni, Buscaglioni, insegnante di latino e di greco, che quando uno sbagliava andava alla lavagna e scriveva: “Ke risata, porka l’oka!”, scimmiottando così la lingua greca”.

“Con la quale io non andavo tanto d’accordo. Come tu con Don Bensi, l’insegnante di Religione. Ricordo bene i tuoi battibecchi con lui. Un giorno in cui aveva detto che i profeti erano ispirati da Dio tu alzasti la mano e con sottile ironia gli chiedesti: “E al tempo dei greci e dei romani da chi erano ispirati? Da Giove, da Venere, da Marte?”. Al che lui, sprezzante e presuntuoso com’era, ti rispose: “Quelli erano dei miseri pagani!”. Anch’io non avevo buoni rapporti con i preti e ho mosso delle critiche alla Chiesa: il mio laicismo era molto spinto. Criticando certi punti del Concordato del ‘29, sostenevo che la difesa della libertà religiosa va cercata altrove, nella coscienza popolare molto più che nello scudo labile, e quasi sempre illusorio, dei concordati. Giovanni Giolitti, al tempo di Pio X, diceva. “Il papa è un semplice pastore di anime, estraneo alle combinazioni politiche”.

“Tu sei stato uno dei pochi che ha tentato la conciliazione degli Italiani. Ti sei sempre tenuto al di sopra di tutte le parti. Avevi una vera e propria religione del Risorgimento e ti dolevi che gl’Italiani, con in testa i politici, invece di trovare lì, tutti uniti, il loro punto di riferimento, continuassero a rievocare quotidianamente il fantasma del fascismo, rinfocolando odi e rancori. Non bisogna dimenticare che alla fine della guerra i primi presidenti del Consiglio provenivano dal ventennio: l’avranno pure rinnegato ma era stato il fascismo che aveva formato i loro caratteri. I politici di oggi da dove vengono?”.  

La politica dovrebbe essere un confronto, fra posizioni anche contrapposte, ma sereno, tranquillo e obiettivo e soprattutto lungimirante, perché quel che interessa al Paese è il suo futuro, non il suo passato. Sai qual è stato il giorno più triste nel corso della mia attività politica? Quando per un solo voto persi la presidenza al Senato. Da quel giorno cominciai a morire”.

 

Caro Giovanni Spadolini, mio

ex compagno di classe al “Galileo”

di Firenze, se ben ricordo, io

(almeno al primo anno di liceo,

 

perché al secondo poi gli dissi addio)

non t’ho mai visto, come un corifeo,

arringare la classe, un semidio,

né come un traditore o un fariseo.

 

Adesso, però, leggo che Nicola

D’Amico, furbo, t’ha rifatto il volto,

com’è accaduto a tanti. Nella scuola

 

(ne ho frequentate tante) non ho colto

contro il fascismo nessuna parola.

Ma, dopo, tutto è stato capovolto.

Aggiornato il 20 marzo 2020 alle ore 12:57