La cultura di sinistra – cioè quel che ne rimane oggi dopo anni di disillusioni – si caratterizza oramai da tempo per emettere sentenze senza leggere gli atti processuali. E, nel caso del capolavoro di Checco Zalone, Tolo Tolo, per giudicare film e libri senza averli visti o letti. Poi, accade che la gente si rechi al cinema e si commuova per il motivo opposto: altro che film razzista, è quasi un inno all’inclusione e al dialogo con gli immigrati.

A cominciare però dall’integrazione sotto il registro ironico e autoironico. Trattasi, infatti, di un film su quel delicato tema che è l’immigrazione dall’Africa – scritto e sceneggiato anche da Paolo Virzì che non sembra sospettabile di simpatie sovraniste e nazionaliste – descritto con quel sarcasmo dissacrante a metà tra i Monty Python di Brian di Nazareth e Ettore Scola del Riusciranno i nostri eroi, uscito in pieno 1968.

Zalone mette nel film registri diversi e spesso li mischia. Così capita di commuoversi sentendo il coro di immigrati caduti in mare che ironizzano su se stessi, gli “stronzi più neri” che comunque “restano a galla”. In realtà questa dissacrazione che se ne infischia dell’ipocrisia pietista è tutta diretta a liquidare i luoghi comuni. Di destra, di sinistra, di centro, delle ong. Esilarante la lotteria del riallocamento dei posti in Europa fatta, con tanto di ruota, pallina e piccolo bimbo nero bendato, direttamente sulla nave bloccata in porto dal ministro italiano. Che sembra un ragazzotto con l’aspetto di Luigi Di Maio e il linguaggio di Matteo Salvini. Ironia su Emmanuel Macron e i filantropi francesi che documentano la tratta nel deserto solo per avere copertine ni periodici alla moda, come su Angela Merkel e sull’Isis.

Zalone ne ha per tutti e non ne dimentica nessuno. E ci sta anche un cartone animato sulla cicogna nera che porta figli solo in Africa, perché è “strabica” e un po’ “mignotta”. Quasi psichedelico. Chissà Zalone (e Virzi) che cosa deve (devono) avere pensato dei Maître e delle Maîtresse à penser del giornalismo italiano di sinistra che si riuniscono a straparlare di tutto e tutti, male generalmente, nei salotti televisivi ormai ridotti a contenitori umani per argomentazioni da “signora mia”. Intellettuali senza più intelletto. Persone che lo hanno subito bollato come “razzista” senza neanche immaginare cosa era contenuto davvero nel film. Ovviamente fermandosi a valutare istericamente un trailer volutamente provocatorio. Gente abituata a recensire i libri leggendo solo la quarta di copertina, nella migliore delle ipotesi. Per non parlare degli epigoni social di questa stampa che fa del moralismo degli stenterelli la propria ragione d’essere. Simili figure di guano dell’immaginario collettivista di sinistra un giorno verranno ricordate nei libri di storia quando verranno descritti i “pensatori” di contorno dell’ultima parte del ventesimo secolo. E di quella iniziale del primo secolo del terzo millennio. I “deprecanti non pensanti”.

Aggiornato il 07 gennaio 2020 alle ore 13:05