Un bellissimo “pilot” per Gomorra 5. Nonché uno spoiler apparentemente mirato per la serie in gestazione. A cavallo tra prequel, sequel “spin off” e spoiler della prossima stagione. Fatto fin troppo bene ma forse scontato. L’immortale purtroppo è esattamente come ce lo si poteva immaginare. Il modello di riferimento poteva essere il primo episodio diretto da Martin Scorsese di Boardwalk empire anni orsono. Solo che il pilot di Scorsese veniva prima della serie ed era un “appetizer” meglio del piatto forte.
Mentre L’immortale viene dopo quattro stagioni di Gomorra. Un po’ come il dolce dopo un pranzo di matrimonio quando stanno già tutti a pancia piena. Ed è stucchevole come una cassata siciliana dopo l’arrosto di cinghiale. A Marco D’Amore, quindi, può venire rimproverata solo una cosa: una certa prevedibilità “gomorrista”.
‘Sto film venduto – a euro 10 e 90 – come uno “spin off” della serie sembra in realtà un indovinato episodio di raccordo tra la scorsa e la futura stagione per rimettere in pista Ciro che, come predicevano “i cirologi”, cioè gli esegeti della sua futura resurrezione, “non era morto quando cadde in mare sparato da Genny Savastano perché si vedevano le bollicine”.
Anche la trama è un “déjà-vu”: una volta risorto Ciro va a fare affari di cocaina nei Paesi dell’est e sta sempre a cavallo tra mafie etniche che si contendono il mercato. A colpi di kalashnikov e autobombe. Tutti tradiscono tutti e talvolta si tradiscono pure da soli. Quasi a loro insaputa. Pure la sceneggiatura a ben pensarci ruota intorno al più classico dei clichè gomorristi. Prima scena madre: “È arrivato ’o carico”. Seconda fase: “Hanno rubato ’o carico”. Sintesi finale: “L’avisse a accidere”. E il traditore è sempre quello cui era stata data più fiducia. Come nella serie di Stefano Sollima.
Più godibili dal lato narrativo i flashback dell’infanzia di Ciro detto “l’immortale” perché si salva per miracolo restando orfano dalla scossa del terremoto che distrusse l’avellinese e i dintorni di Napoli ai tempi della Camorra di Cutolo nei primi anni Ottanta. Nell’iniziazione malavitosa del piccolo Ciro, tra furti di autoradio e contrabbando di sigarette, c’è anche un episodio che sembra un po’ ispirato a una scena di C’era una volta in America.
Insomma, tutto fa brodo. E va detto che lo spettatore per le quasi due ore della pellicola resta diviso spesso schizofrenicamente tra scene molto ben fatte e godibili di violenza tipiche dei film di mafia e questa sensazione di inconsapevolmente autoironica ripetitività della trama. Se decide che gli deve piacere per forza, il film è da quattro stelle. Se invece riflette criticamente su questi aspetti grotteschi il voto scende notevolmente.
Aggiornato il 09 dicembre 2019 alle ore 13:29