“[Venezia] giace ancora davanti ai nostri sguardi come era nel periodo finale della decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il languido riflesso nella laguna, ci chiediamo quasi fosse un miraggio quale sia la città, quale l’ombra. Vorrei tentare di tracciare le linee di questa immagine prima che vada perduta per sempre, e di raccogliere, per quanto mi sia possibile, il monito che proviene da ognuna delle onde che battono inesorabili, simili ai rintocchi della campana a morto, contro le pietre di Venezia”.
Così scrive John Ruskin, nel suo Le pietre di Venezia, libro che dovrebbe essere letto necessariamente da chiunque ardisca parlare d’arte e non solo della Serenissima. Ma così non è e Venezia, come si è sempre saputo, lentamente, onda dopo onda, marea dopo marea, va a raggiungere il proprio equoreo destino nel verde smeraldo del proprio mare. Non c’è Mose, inutile e costoso manufatto e mai dotato di vita, che tenga. Non ci sono tritoni né ondine, né altre creature marine a impedire l’inabissamento, e forse è meglio così. Meglio vedere un domani un’eterna Venezia sotto le acque, nuova Atlantide o nuova Ys d’Oriente se preferite, ma almeno salva per sempre dagli irresponsabili che l’hanno condannata a questo.
Un paradosso certo, ma i mosaici dai cieli aurei, i cavalli bronzei, i leoni e i tetrarchi di porfido saranno abitati da nugoli di pesci lucenti, piuttosto che da amministratori che non hanno mai saputo creare una vera difesa all’avanzare delle divinità marine. Secoli di vita in comune con il suo sposo, il mare, ha permesso alla dogale città lagunare di vivere in simbiosi con esso. Ma oggi coloro che la governano hanno abbandonato la magia del Bucintoro e preferito le inutili, autoreferenziali diatribe politiche, incuranti del fatto che le onde non si fermano. Passerà anche questa marea, scenderanno le acque come fu dopo l’antico Diluvio, ma questa volta non ci saranno giganti antropofagi da sterminare. Nessuna nuova umanità sorgerà da questo mondo nuovo.
Una perfetta combinazione di elementi naturali e d’umana incapacità ha mandato in frantumi l’esile equilibro che consente alla città di esistere, perennemente sul limite, ma di esistere. Adesso piangono, inutili lamentosi moralisti, politici colpevoli di trascuratezza e d’ignavia, se è vero che il mare non può essere fermato è altrettanto vero che poco o nulla si è fatto in questi decenni per cercare soluzioni efficaci, non palliativi di comodo.
Un tempo lontano, in un futuro remoto, quando anche l’uomo sarà un’ombra dimenticata, forse qualcuno vedrà riemergere dal limo della laguna ciò che resta del Mose, inutile cenotafio di se stesso, e ignaro si domanderà a quale divinità sia mai stato eretto quel mausoleo, ma non avrà risposta. Nessuna risposta da un mondo vuoto, senza Venezia.
Aggiornato il 14 novembre 2019 alle ore 09:50