Qual è “L’Arte Sua”? Il tacere; il raccontare; il mentire... Ognuno ha nel proprio carattere il suo personalissimo arcolaio con il quale intesse un tracciato esistenziale unico e irripetibile. Linee, curve, spezzate, spazi vuoti, vie e ponti interrotti che non portano da nessuna parte. A volte, queste direzioni si sdoppiano e come altrettante linee dell’universo seguono strade tutte loro, senza nessuna freccia temporale che sia mai rivolta all’indietro. Nel suo bellissimo romanzo-verità basato su una storia vera, intessuto dalle testimonianze di sopravvissuti e dai documenti d’epoca, Viola Ardone racconta “Il Treno dei Bambini” (Ed. Einaudi 2019, in corso di traduzione in 27 Paesi) con una prosa squisita che presenta deliziose assonanze, per ambientazione e coloritura dei suoi personaggi, con il romanzo “Magari domani resto” di Lorenzo Marone. Si parla di un episodio esemplare di solidarietà dell’immediato Secondo dopoguerra, in cui il Pci emiliano in stretto coordinamento con le donne comuniste che avevano combattuto a Napoli a fianco della Resistenza, organizzarono treni della solidarietà trasferendo bambini napoletani dalle zone disagiate e depresse della città, per collocarli presso famiglie emiliane che avevano dato la loro disponibilità ad accoglierli per brevi-lunghi periodi. Il tutto raccontato con gli occhi e le parole bellissime ed essenziali (meticciate tra formidabili espressioni dialettali e l’italiano raffinato della mente che guida la scrittura del testo) di un bambino dei vicoli napoletani più adulto della sua età, perché a otto anni deve andare a lavorare per aiutare sua madre a sopravvivere nel loro basso insalubre di una Napoli della fame e della borsa nere.
In quei quartieri, un’umanità dolente giovanissima o anziana si difende con i mille mestieri precari e mariuoli che il vicolo consente, laddove i pettegolezzi, le piccole storie dei miserelli e dei guappi costruiscono quella rete impalpabile di salvataggio fatta di parole per sostenere una comunità affamata e stracciona. La ricostruzione del treno dei bambini è anche una cavalcata sul filo dei sentimenti e delle pratiche del più omologante e centralista dei Partiti-Chiesa italiani, in cui l’umanità delle donne è il vero Soggetto che permea di sé tutte le storie che si intrecciano nella narrazione, sempre profonda, sempre eviscerante, che non lascia tregua al futile e al dilettevole nemmeno quando lo spirito ironico delle cose ci porta a sorridere. La Ardone racconta qualcosa di universale: per crescere bisogna andarsene. Per farlo, però, dobbiamo recidere il nostro cordone ombelicale e quindi perdere qualcosa. Amerigo cammina sempre con scarpe troppo strette di seconda o terza mano, ma anche quando le avrà giuste gli staranno strette lo stesso. Descriviamolo con le parole pregnanti di Walter Veltroni che ha presentato l’opera “con la consumata arte sua” di acuto oratore, l’8 ottobre scorso alla Feltrinelli di Galleria Sordi di Roma. “Il romanzo della Ardone è come il tono della voce delle persone che incontri le cui parole ti affascinano a tal punto da non volerti mai separare da loro! Questo libro è una gigantesca macchina di emozioni: leggendolo non si resta gli stessi. Ci fa riscoprire fili che avevamo dimenticato mettendo i nostri occhi all’altezza di quelli di un bambino, con un atto di umiltà e di intelligenza”.
“Il libro funziona come una scatola a sorpresa partendo da un contesto storico reale: la fine della guerra; la consistenza del Pci in grado di organizzare i treni della solidarietà verso l’Emilia per bimbi indigenti del Sud. Arrivati sul posto, i comunisti li mandavano a scuola, li vestivano e li nutrivano. Qui tutto si intreccia: cooperazione, sindacato, lotta delle donne, coscienza dei diritti. Le famiglie emiliane non erano ricche ma compagne vere, dal latino ‘cum panis’: dividere il pane; come fa la famiglia di Modena che ospita Amerigo. La Necessità fa sì che siamo tutti padri e madri di chi ha bisogno, perché L’Altro da se rimane la principale meraviglia dell’esistenza. È un libro sull’abbandono, di un bimbo che passa da una mano di donna a un’altra. Del resto, il nostro è un tempo febbrile dal punto di vista delle relazioni. al quale corrisponde tuttavia una grande solitudine. Il secondo elemento che vorrei citare è quello della scoperta: Mariuccia scambia la neve per ricotta e Amerigo confonde la nebbia con il fumo di sigaretta. Come il treno del cinema dei Lumiere, con gli spettatori che fuggono vedendolo avanzare sullo schermo. Ma se non si ha voglia di scoprire e non si ha voglia di viaggiare si muore un po’ per giorno. I bambini sentono di non essere considerati in quanto tali: tutti loro hanno potenzialità enormi dal punto di vista dell’intelligenza”.
“Le vicende narrate si svolgono nella Napoli tormentata di un Paese distrutto dalla guerra civile con la quale non abbiamo fatto definitivamente i conti. Oggi nella politica ognuno pensa un po’ a se stesso mentre dovrebbe viverla e praticarla esclusivamente a favore degli altri. Almerigo usa la formula: “Non è arte mia, sua…”, perché qui l’arte corrisponde a una possibilità del fare e dell’essere”. Per Viola Ardone “la solidarietà ha un sapore amaro sia per chi la fa sia per chi la riceve! Quando i preti tolgono i bambini dalla strada si tratta di carità, mentre se lo fa la politica si parla di solidarietà. La metafora di Amerigo che fa il gioco delle scarpe strette è l’invito a mettersi sempre in quelle degli altri: se tutti non le hanno bucate si può raggiungere lo stesso risultato. Nel libro, l’accoglienza ha sempre due facce e rappresenta un progetto difficile a lungo termine: uno dei bambini ospitanti vede Amerigo come un ladro perché gli ruba i suoi spazi ma poi cambia completamente idea nel tempo. La storia nasce dal racconto di uno di loro che era stato su quei treni e si basa su documenti filmati e sulle testimonianze di tante persone che avevano fatto all’epoca quell’esperienza”.
“L’iniziativa del Pci nasceva dall’idea di una strada ferrata per unire nord e sud attraversando realtà diverse, in cui ci si deve ricostruire come padre e madre di se stessi. Amerigo porta la ferita di aver dovuto compiere una scelta quando non era in grado di deciderla e i bambini non dovrebbero mai essere posti dinnanzi a questo bivio. La vergogna dei padri che portano i loro figli alla stazione è ingiustificata: la fame non è una colpa ma un’ingiustizia sociale. Amerigo coltiva la sindrome dell’impostore come se si fosse andato a prendere la vita di un altro, diventando così un mentitore seriale su delle sciocchezze. E qui scatta il problema dell’identità: dire bugie per essere accettato. I bambini che partono lanciano dal treno i cappotti per quelli che restano. ‘Tanto i comunisti ce ne daranno uno nuovo all’arrivo’“. Ma oggi, che cosa accadrebbe?
Aggiornato il 11 ottobre 2019 alle ore 12:40