“L’incredulità è un accidente; la fede sola è lo stato permanente dell’umanità” (Alexis de Tocqueville).
Seguo il dibattito sul clima da osservatore distratto più o meno da quando sono entrato nell’età della ragione nonché da quanto internet è entrata in casa mia (una quindicina d’anni fa). Lo seguo da appassionato di meteorologia amatoriale (consapevole per prima cosa che weather is not climate), lo seguo da amante istintivo della natura, della montagna, della neve e dei ghiacciai. E lo seguo anche, se non soprattutto, da amante dei sistemi complessi.
Perché il clima lo è, complesso. Azzarderei che è il più complesso dei sistemi “inanimati” (escludendo quindi tutti gli “organismi” sociali e quelli cellulari come il nostro cervello).
Quindici, ma anche dieci anni fa, l’argomento clima/meteo, fuori dal dibattito accademico era ancora per lo più di pertinenza di pochi forum meteo specializzati dove si confrontava gente più o meno competente e con una passione magari particolare, ma genuina. Per il resto c’era la classica discussione tra uomini della strada a colpi di “non ci sono più le mezze stagioni”, “quest’anno l’estate sembra non vuole saperne di arrivare” e “non è tanto il caldo, ma l’umidità” (che resta la mia preferita, e anche la più vera).
Io non ho una laurea in fisica dell’atmosfera, come non ne ho in economia (altra passione, venuta dopo). Per questo ho sempre letto parecchio e con curiosità chi mi pareva dire cose sensate (possibilmente cercando di sentire entrambe le campane) e scritto il meno possibile. Due sensazioni però le ho sempre avute. La prima, che nel dibattito sul clima, come in quello economico, fosse molto difficile pervenire a delle certezze (impossibilità di fare esperimenti, mancanza di dati, spiegazioni multicausali e così via) e la seconda, che nonostante questo, o forse proprio per questo, fosse molto facile pensare di aver capito tutto sull’argomento e fornire spiegazioni semplici. Del resto quando si parla di tempo (atmosferico), ma anche quando si parla di soldi, un po’ tutti sono convinti che basti la propria esperienza per fornire qualche verità assoluta.
C’è poi un’altra sensazione che avevo maturato in tempi non sospetti: che quello del global warming, (che poi è divenuto climate change per includere anche il freddo, la pioggia e il vento, e poi è divenuto climate emergency per includere qualunque giornata in cui ci voglia il golfino sulle spalle) fosse il tema ideale per quest’epoca. Vago abbastanza da includere, come detto, un po’ di tutto, dall’alluvione epocale alla grandinata di quartiere. Emotivo, anche senza l’entrata in scena di Greta (che vorrei lasciar fuori da queste righe) grazie all’armamentario di orsi di oggi e bambini di domani, tutti ugualmente in pericolo di estinzione. Straordinariamente complesso, di modo che la Scienza possa costruirci sopra un arsenale modellistico teoricamente pronto a spiegare ogni centesimo di grado, e al tempo stesso straordinariamente banale, visto che basta aprire la finestra e postare su Facebook “Che caldo anche oggi, dove andremo a finire!!!” per sentirsi partecipi del grande dibattito.
Insomma, un tema perfetto per l’epoca della bassa risoluzione come forse noterebbe il buon Mantellini, se non si fosse intruppato pure lui tra i fan dell’attivismo climatico. Insomma, il tema era lì da un paio di decenni che cresceva pian piano. Poi, nel giro di qualche anno, ma forse ancora meglio dire qualche mese, ce lo stiamo trovando praticamente ovunque, fino all’apoteosi vagamente surreale dello “sciopero di stato” di un venerdì settembrino, beffardamente capitato con temperatura gradevole e perfettamente in media, per la soddisfazione dei manifestanti, almeno quelli fiorentini.
Ecco, credo che con tutta la buona volontà anche gli attivisti più attivisti non possono arrivare a sostenere che realmente dal 2009 al 2019 sia successo qualcosa in grado da giustificare questo:
Anche perché, pure volendo fare uno sforzo di fantasia pensando di essere sopravvissuti per miracolo a un’improvvisa ondata di catastrofi senza precedenti il grafico sopra quaglia ben poco ad esempio, con questi altri due:
Ma non siamo a fare la gara a chi c’ha il grafico più giusto o più bello: di nuovo, come in economia se ne possono trovare di bellissimi che giustificano e spiegano tutto. Quello che mi interessa è capire cosa è successo e cosa sta succedendo nella percezione del fenomeno. E perché si sta creando una polarizzazione politica, completamente folle per toni e proposte, su un tema su cui nessuna delle due parti sembra particolarmente intenzionata ad informarsi e informare seriamente.
Per capirsi: malgrado fiocchino i paragoni, non stiamo parlando di vaccini. Se tuo figlio non vaccinato contrae il morbillo e muore, è morto di morbillo, e te genitore sei stato un coglione, punto.
Se ti si alluviona la casa, o se il maltempo ti rovina le ferie, non è così scontato che accada perché hai preso troppi aerei o lasciato troppo a lungo il Suv col motore acceso, (chi compra il Suv ha già la sua punizione ogniqualvolta passa da una stradina di campagna). Il punto è che dei vaccini, così come di molte cose di cui si occupa la scienza, sappiamo molto (tutto mai). Del clima sappiamo pochissimo (come peraltro i climatologi seri ammettono senza problemi). Anche perché la scala giusta non è questa:
Ma questa:
O meglio ancora, questa:
Stiamo parlando cioè di un fenomeno diacronico, cioè che ha una sua storia, peraltro vecchia (per definizione) quanto il mondo. E invece noi abbiamo iniziato a misurare la temperatura a malapena da tre secoli, disponiamo di dati globali da pochissimi decenni e abbiamo iniziato a studiare seriamente la paleoclimatologia praticamente l’altro ieri. In altre parole non sappiamo assolutamente nulla su questa storia, almeno non su una scala abbastanza ampia da essere significativa per i tempi della Natura, che non sono quelli di una generazione umana (ma neanche di due o tre). E così, dopo aver saltato a priori la fase conoscere ci avviamo ad ampie falcate alla fase deliberare, senza che nessuno si chieda se sia davvero scientifico arrivare alle teorie avendo a malapena formulato le ipotesi.
Cosa determini i su e giù in quei grafici prima del 1970 sembra del tutto trascurabile. Esiste l’aumento della CO2 (probabilmente) senza precedenti, esiste il contestuale aumento delle temperature (pressoché sicuramente) con precedenti, esistono dei modelli che dicono che la CO2 scalda (ma tutti i modelli sono realizzati giocoforza su sistemi semplificati rispetto al…mondo) quindi la colpa è sicuramente della CO2.
C’è quantomeno un passaggio logico forzato. Che non vuol dire che sia sbagliato a priori, ma neppure esatto a priori. E soprattutto è un pochino avventato sulla base di questo passaggio stabilire che stiamo sbagliando tutto e che la colpa è… rullo di tamburi… del… capitalismo. Anche perché poi vengono fuori cose carine tipo questo:
E un po’ di sospetto che ci si stia raccontando le favole viene.
Il modello che sta distruggendo il pianeta, nella sua incarnazione più pura, gli Usa, ha prodotto negli ultimi 40 anni il 175% di ricchezza materiale in più, consumando (solo, è il caso di dirlo) il 30% in più. Un incremento di efficienza direi quantomeno rimarchevole, alla faccia della stagnazione tecnologica. In tutto questo le famigerate emissioni di anidride carbonica negli USA sono aumentate di un relativamente modesto 12%, e, dato più rilevante, gli inquinanti comuni (lo smog, che poi è quello che uccide per davvero, oggi) sono diminuiti del 68%! Certo, erano aumentati vertiginosamente nei decenni precedenti, ma non è insensato pensare che si stia procedendo abbastanza speditamente sulla strada di un’aria nuovamente pulita, almeno nel nostro Occidente. E dunque, “tutto bene madama la marchesa”?
Non necessariamente. La linea rossa che parte dal 1970 potrebbe effettivamente essere qualcosa senza precedenti ed essere colpa degli aerei, dei Suv e pure delle puzzette delle mucche, come sostiene qualcuno. In tal caso si tratta solo di convincere cinesi, indiani e compagnia bella a seguire il modello che, come risulta dai dati, ha permesso di coniugare ricchezza e tutela dell’ambiente negli ultimi 40 anni: quello americano.
Provocazione? Un po’ (in realtà personalmente sarei moderatamente favorevole anche a una carbon tax fatta a determinate condizioni, ma rimanderei il discorso ad un altro momento) . In ogni caso, state tranquilli, la proposta di dare tempo al tempo (dello sviluppo) non passerà. Perché appunto capire il problema climatico e analizzare le possibili soluzioni (o la possibile mancanza di soluzioni, che andrebbe pure messa in conto) non interessa pressoché a nessuno. Perché la climate emergency risponde a ben altre problematiche, queste sì, davvero poco curabili. La climate emergency è la paura di ciò che non è controllabile, e, quindi, la negazione della sua esistenza.
La scienza aveva promesso che il mondo fosse in procinto di essere conoscibile e conosciuto in tutto e per tutto (o più probabilmente non l’aveva mai promesso, ma noi l’avevamo fraintesa), e noi abbiamo fretta di poter dire che la missione è conclusa. Che esistano oscillazioni climatiche in passato che non sappiamo spiegare del tutto, passi, per il momento. Ma questa oscillazione deve essere la nostra oscillazione. Deve essere colpa nostra, uomini del XXI secolo colpevoli di aver soddisfatto i nostri bisogni materiali. Anche perché se è colpa nostra, se cioè il cambiamento climatico è frutto di processi tutti umani e tutti conoscibili esso diventa allora anche controllabile. E abbiamo fatto bingo!
Dietro l’idea -apparente- dell’ambientalismo come supremazia della Natura sull’uomo traspare infatti, a mio parere, la “solita” enorme, smisurata, hubris dell’uomo, in particolare di quello contemporaneo, che non è altro che una continuazione dello scientismo positivista, a un livello più subdolo. Uno scientismo che sì, si fa religione quando invece era in teoria nato per distruggerla, ma in questo non è nemmeno così lontano dalle sue origini ottocentesche. È una religione che chiede alla scienza di rivestirsi di abiti soprannaturali e dimenticarsi di essere una creatura umana, e quindi fallibile. È una religione che ha i suoi libri sacri, sotto forma di modelli matematici complessi, che nessuno o quasi sa comprendere autonomamente se non gli scribi stessi, ma a cui è disposto a credere, in cambio di una spiegazione. È una religione che ha i suoi sacerdoti, sia pure taluni giovanissimi, i suoi bigotti e i suoi neoconvertiti, che sono sempre i più zelanti.
Certo, non parrebbe una religione di gioia, a giudicare dalle facce di Greta Thunberg (eccoci, l’ho nominata!), ma anche il cristianesimo non si è mica sempre presentato a tarallucci e Papa Francesco. Nonostante l’Apocalisse inevitabile, usare la plastica bio e mangiare vegan potrebbe comunque bastare a garantire l’immortalità. Certo è che triste o allegra, drammatica o consolatoria che sia, una religione risponde sempre a un bisogno di fede, tanto più necessaria in un’epoca che ne ha persa. E se di questo neonato culto se ne è impadronita la sinistra è solo perché essa era rimasta temporaneamente orfana, tramontato il marxismo che per un secolo e mezzo era stata la religione ufficiale delle sue élite, benché religione con molti più credenti che praticanti.
Del resto la destra sta già risfoderando anch’essa una religione di origine ottocentesca che si credeva sepolta ma era sempre calda sotto la cenere: quella della nazione. Nihil novum sub sole: l’Illuminismo aveva fatto pulizia della religione vecchia (si parla sempre di élite, a livelli più bassi il discorso è sempre più lungo e complesso), ma come il buon Alexis de Tocqueville aveva intuito, l’animo umano si deve pur nutrire di qualcosa.
C’è però un altro problema, grosso. Cosa fa lo scettico, in un’epoca come questa? Cosa fa chi preferirebbe pensare, piuttosto che credere?
Esiste una matrice del liberalismo che è nata proprio da questo: dalla tragedia delle guerre di religione cinque-seicentesche e dalla presa d’atto dei disastri della fede cieca e della sua volontà di imporsi sugli altri. Ovvero, presi tra due o più fuochi che si scannavano, alcuni rifletterono sul fatto che la loro peculiarità non si sarebbe evidenziata nello schierarsi con il fuoco meno peggio, ma nel ribadire con veemenza la loro diversità rispetto a entrambi i contendenti, ovvero nel dire: “noi non sappiamo, e per questo non crediamo”. Non sappiamo chi ha ragione, e per questo vogliamo costruire un sistema che permetta sia a noi, che a voi, di convivere, con il minore danno reciproco possibile. Non conosciamo la verità e per questo non vogliamo costringere nessuno a vivere come se conoscessimo già il nostro e il vostro futuro. Non sappiamo né qual è il fine di questo mondo né quale sarà la sua fine.
Non lo so neanche io, e questo è tutto quello che volevo dire.
Twitter: @cbnd89
Tratto da “Strade Nuove”
Aggiornato il 01 ottobre 2019 alle ore 15:05