È morto nel 2019. Proprio come il replicante che ha interpretato in Blade Runner. Un triste presagio o una macabra coincidenza? È l’interrogativo che si pongono gli appassionati ammiratori di Rutger Hauer. Già. Eppure, l’attore non è scomparso nella Città degli Angeli, ma a Beetsterzwaag, un piccolo villaggio olandese di circa 3.500 abitanti. È morto a 75 anni, dopo una breve malattia. I funerali si sono tenuti ieri. Lo ha confermato a Variety l’agente Steve Kenis.
Nel film diretto da Ridley Scott, girato nel 1982, l’attore olandese viene immortalato come Roy Batty, il replicante per antonomasia. Il lungometraggio è ispirato al romanzo Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?), firmato da Philip K. Dick nel 1968. La storia è ambientata, per l’appunto, nel 2019, in una Los Angeles distopica e piovosa, in cui le creature artificiali simili agli uomini sono utilizzate come forza lavoro nelle colonie extra-terrestri. I replicanti che si danno alla fuga vengono eliminati da agenti speciali chiamati “blade runner”.
Lo sguardo magnetico di Hauer, la sua possente fisicità e la sua distaccata voglia di vivere, lo fanno assurgere nell’immaginario collettivo. L’attore pronuncia un monologo passato alla storia, non solo del cinema. Parole affascinanti, apocalittiche, misteriose. Talmente note da essere, persino, parodiate. “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia… È tempo di morire”.
Hauer è protagonista di una lunga e fortunata carriera costellata da più di 170 titoli e una serie di successi. Naturalmente, la sua popolarità si deve al film interpretato al fianco di Harrison Ford. I racconti su quella pellicola si sprecano. Ma circola voce che sia proprio l’attore a suggerire a Scott come girare la scena. Inclusa l’idea di recitare il monologo con la colomba bianca in mano.
Nato nella provincia di Utrecht, ma cresciuto a Amsterdam, Hauer è un figlio d’arte. I genitori, infatti, sono entrambi attori teatrali. Si sposa due volte. Dalla prima moglie ha la figlia Aysha, anch’essa attrice. La passione per la recitazione travolge Hauer negli anni Sessanta, quando si unisce a un gruppo sperimentale. Dopodiché, lavora per una per una serie tivù olandese. Infine, il passaggio al cinema, grazie al connazionale regista Paul Verhoeven, per il quale recita in cinque film: Fiore di carne (1973), Kitty Tippel (1975), Soldato d’Orange (1978), Spetters (1980) e L’amore e il sangue (1985).
Hauer lavora anche con cineasti italiani: due volte con Ermanno Olmi, in La leggenda del santo bevitore (1988) e ne Il villaggio di cartone (2011); per Dario Argento è un vampiro, in Dracula 3D (2012). Recita anche per Lina Wertmüller, nel film In una notte di chiaro di luna (1989). Esordisce nel cinema hollywoodiano accanto a Sylvester Stallone, nel thriller I falchi della notte (1981) di Bruce Malmuth. Da ricordare anche le sue partecipazioni in Hemoglobin - Creature Dell’Inferno (1997) di Peter Svatek e Strategia mortale (1988) di Mark Griffiths. Nel 2002 recita in Confessioni di una mente pericolosa di George Clooney e ne I banchieri di Dio - Il caso Calvi di Giuseppe Ferrara.
Ma, oltre al personaggio di Roy Batty, sono numerose le interpretazioni memorabili dell’attore. A cominciare da quella dell’ex capitano della guardia Etienne Navarre, in Ladyhawke (1985) di Richard Donner, accanto ad una bellissima Michelle Pfeiffer. Nello stesso anno l’attore dà il volto al killer psicopatico John Ryder, in The Hitcher, La lunga strada della paura (1986) di Robert Harmon. Nel 1988 vince il Golden Globe per il film tivù Fuga da Sobibor di Jack Gold. L’anno successivo viene premiato come miglior attore al Seattle Film Festival per La leggenda del Santo Bevitore di Ermanno Olmi, film vincitore del Leone d’Oro 1988, a Venezia, tratto dal romanzo di Joseph Roth. Interpreta un alcolizzato, ex minatore che vive di stenti, a Parigi. Un giorno è toccato dalla Grazia. Forse un miracolo di Santa Teresa di Lisieux.
Nevrotico intellettuale, inquietante cattivo e persino romantico. Rutger Hauer é riuscito, con straordinaria finezza e impareggiabile acume, ad attraversare il cinema di fantascienza, quello epico, quello sentimentale. Ma, soprattutto, il cinema poetico. Il cinema che lo ha consacrato. Per sempre.
Aggiornato il 25 luglio 2019 alle ore 19:05