Francesco Polacchi, editore di Altaforte, la casa editrice che ha pubblicato il libro intervista al ministro dell’Interno Matteo Salvini, è stato condannato nel 2017 a un anno e quattro mesi per gli scontri avvenuti tra studenti del Blocco studentesco e studenti della sinistra antagonista a Piazza Navona il 29 ottobre 2008. Basta poi vagabondare per la Rete per rendersi facilmente conto di come altre tegole giudiziarie siano cadute negli ultimi dieci anni sulla testa del Nostro.
Ora Polacchi oltre a produrre capi d’abbigliamento pubblica libri e la presenza di Altaforte al Salone del libro di Torino che aprirà i battenti il nove gennaio prossimo sta suscitando polemiche infuocate. Sono uno storico. Consulto il sito della casa editrice. L’occhio cade sullo “scaffale” di storia. Navigo e leggo dal catalogo titoli interessanti, di Altaforte come anche di altre case editrici “non allineate”, come amano definirsi, che utilizzano Altaforte come piattaforma commerciale: dal “Cinema tedesco del Terzo Reich” alla “Storia del fascismo inglese”, dalla biografia di Farinacci all’autobiografia del già professore ordinario di diritto internazionale, Augusto Sinagra, difensore di Licio Gelli, passando per la storia delle “Radio alternative” di destra negli anni Settanta.
Bene, che giudizio dare di questa iniziativa editoriale? Beh, è fin troppo banale dire che i libri, per essere giudicati, devono prima essere letti. La sensibilità politica dell’autore nulla può dire circa il valore di ciò che ha scritto. L’antifascismo non è certamente garanzia di qualità della scrittura come il fascismo non lo è di mediocrità.
Dal punto di vista politico, poi, non è una forse una buona notizia che un ‘picchiatore’ si sia dato alla cultura? Polacchi rivendica orgogliosamente la sua appartenenza a CasaPound e casa editrice di riferimento di CasaPound viene definita dai mass media Altaforte. Il democratico antifascista non dovrebbe allora salutare con sollievo la circostanza che militanti di quel movimento non siano dediti solamente a prove muscolari di piazza ma anche a leggere e valutare manoscritti?
Se un pericolo neofascista esiste nel nostro come in altri Paesi della cosiddetta Europa populista e sovranista, non dovrebbe allora l’intellettuale antifascista approfittare di questi spazi di cultura che si aprono nella galassia della destra radicale per cercare il dialogo e il confronto?
A volte si ha l’impressione che l’antifascista sia allarmato più che dal picchiatore neofascista dal neofascista che si rifiuta di fare la propria parte fino in fondo, di agitare cioè solo mazze e spranghe di ferro; si ha cioè l’impressione che al primo sia insopportabile la vista non di un fascio che mena ma di uno che un giorno decide di non farlo per allestire, ad esempio, uno stand di libri.
Confidiamo allora che ad Altaforte non sia negato il suo stand; in caso contrario verrebbe impedita al frequentatore del Salone, e questo penso che gli organizzatori della fiera non abbiano proprio il diritto di farlo, l’occasione, certamente inaspettata, di imbattersi ad esempio in “Céline contro Vailland”, che dà conto di una polemica politico-letteraria al calor bianco esplosa nell’immediato secondo dopoguerra tra il comunista e libertino Vailland e Céline, fascista ed antisemita tra i più virulenti ma forse, come ebbe a dire Charles Bukowski, “il più grande scrittore degli ultimi duemila anni”.
Aggiornato il 06 maggio 2019 alle ore 11:47