Il volto di Sergio Leone campeggia sul francobollo commemorativo emesso oggi. Accanto al grande regista è ritratto un cowboy che sta per estrarre la propria pistola dalla fondina. Sullo sfondo si stagliano le montagne della Sierra Nevada. È l’omaggio al cineasta romano. Il francobollo è valido per gli invii in posta ordinaria diretti in America, Asia ed Africa (il costo è di 2,40 euro) e la tiratura è indicata in 2,5 milioni di esemplari. Sergio Leone è riconosciuto oggi come uno dei maestri della storia universale del cinema. Eppure, la sua straordinaria filmografia si compone “soltanto” di sette film. Dall’esordio ufficiale del 1961, con Il colosso di Rodi, all’ultimo capolavoro: C’era una volta in America, del 1984.
La carriera del cineasta romano, figlio d’arte (il padre Roberto Roberti, uno dei pionieri del muto, al secolo Vincenzo Leone, è stato un regista di cinema dal 1912 al 1952), inizia a diciotto anni, come comparsa, in Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica. Il giovane Sergio è uno dei preti tedeschi sorpresi dalla pioggia. In seguito, Leone lavora come assistente alla regia o regista della seconda unità, in una serie di produzioni americane di stanza a Cinecittà: da Quo vadis? di Mervyn LeRoy (1951) al colossal Ben-Hur di William Wyler (1959), vincitore di 11 Oscar. Nel 1959 Leone sostituisce Mario Bonnard, colpito da un malore, alla regia de Gli ultimi giorni di Pompei, film a cui collabora anche alla sceneggiatura.
Poi arriva l’occasione, ancora nel genere “peplum”, italianizzato in “sandaloni”: ecco Il colosso di Rodi. Gli incassi sono buoni. Ma il “vero” cinema di Leone prende forma tre anni più tardi con il primo film della memorabile “Trilogia del dollaro”: Per un pugno di dollari (1964), con Clint Eastwood e Gian Maria Volontè. Esterni ad Almeria, in Spagna, interni a Cinecittà e nella campagna romana. Così viene inaugurato il mito di Leone, il regista che reinventa il Western. Anche se il genere viene ribattezzato Western all’italiana. Meglio conosciuto in America come Spaghetti-Western. Il film, scritto dal regista con Duccio Tessari e Fernando Di Leo ricalca, in gran parte, La sfida del samurai (Yojimbo, 1961), di Akira Kurosawa. Leone omaggia il padre usando lo pseudonimo di Bob Robertson. Le strepitose musiche sono firmate da Leo Nichols (Ennio Morricone). Questo film dà il via al sodalizio artistico tra Leone e il compositore premio Oscar. Il resto è storia.
Seguono, uno dopo l’altro: Per qualche dollaro in più (1965), ancora con Eastwood e Volontè, insieme a Lee Van Cleef e Il buono il brutto il cattivo (1966, scritto dal regista con Luciano Vincenzoni, Age & Scarpelli e Sergio Donati), sempre con Eastwood e Van Cleef, a cui partecipa anche Eli Wallach. Da quel momento Leone diventa un punto di riferimento del cinema mondiale. Dirigerà Henry Fonda, Claudia Cardinale e Charles Bronson in C’era una volta il west (1968) per coronare l’epopea western. Il soggetto è di Dario Argento, Bernardo Bertolucci e dello stesso Leone, sceneggiatura di Sergio Donati e del regista. Infine, una storia di amicizia, morte e rivoluzione: Giù la testa (1971), con Rod Steiger e James Coburn.
Passeranno tredici anni per attendere quello che diventerà il testamento cinematografico di Leone: C’era una volta in America. Che rappresenta il sogno del cinema, il sogno di un capolavoro disperato, l’illusione di un eterno bambino. Il regista si confronta, ancora una volta, con le pellicole statunitensi. Dopo il genere western è l’ora del gangster movie.
Il film è costruito su un’icona del cinema italo-americano: Robert De Niro. Il lungometraggio non ottiene il successo che merita ma ormai il cineasta è celebrato in tutto il mondo. Nasce il Leone’s touch. Dai primissimi piani dei volti ai dettagli degli occhi, fino ai celebri totali dei duelli a colpi di pistola. Uno stile, una maniera di cui sono figli riconosciuti almeno due cineasti statunitensi: il Clint Eastwood regista e Quentin Tarantino. Il primo dedica a Leone il capolavoro Gli spietati (1992). Il secondo omaggia, sin dal titolo, il regista romano nel prossimo film: C’era una volta a Hollywood, interpretato da Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Al Pacino, altro simbolo del cinema italiano in America. Ma tra i “figli” di Leone figura anche uno dei più importanti comici nostrani: Carlo Verdone. Infatti, il grande “orso” è produttore del fortunato esordio dell’attore-regista romano: Un sacco bello (1980).
Sergio, da un autentico pater familias, riesce a instillare nei figli Andrea e Raffaella un gusto vero del cinema che oggi si ritrova nelle scelte della Leone Group. Lo scorso dicembre la Cinémathèque française e la Cineteca di Bologna rendono omaggio a Sergio Leone con una straordinaria mostra che il 12 dicembre approderà anche a Roma, all’Ara Pacis. Oggi, nel trentennale della morte (30 aprile 1989), la capitale lo ricorderà con una sobria cerimonia a Viale Glorioso, tra Trastevere e Monteverde, dove una targa ricorda l’ultimo “imperatore romano”.
Aggiornato il 02 maggio 2019 alle ore 13:06