Di recente papa Bergoglio, ha esternato un altro dei suoi pensieri che così suona “ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente… La scuola trasformata in un ‘bunker’ che protegge dagli errori ‘di fuori’ è l’espressione caricaturale di questa tendenza”, per poi aggiungere che in tali strutture, chiuse rispetto al procedere del mondo, i giovani quando escono avvertono “un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere”.
Letto ciò, permettetemi per una volta di entrare nel mio privato, anche se immagino al lettore possa importare punto o poco della mia vita da giovane scapestrato. Per mia somma fortuna – e con malcelato orgoglio – ho trascorso gli anni del liceo in uno di quei luoghi “chiusi” che tanto fanno indignare Francesco. Ho studiato in un eccellente “collegio”, a Rapallo, gestito dai Padri Somaschi più propriamente appartenenti all’ordine religioso voluto da San Girolamo Emiliani nel primo Cinquecento. In quel “bunker”, ho avuto straordinari insegnanti di lettere che mi hanno educato all’amore della cultura e della letteratura (anche se neanche l’ottimo Padre Carena è riuscito a farmi mai apprezzare Manzoni, però su Dante e altri ha fatto un lavoro egregio), lo stesso dicasi per il latino, per la filosofia e la storia e per la storia dell’arte, e persino, pensate un po’, per materie come matematica e fisica che non rientrano proprio tra le mie predilette. Eppure in quell’”enclave” – secondo il Vescovo di Roma – io ho conosciuto la vita, l’amicizia, i primi innamoramenti e i primi dolori, così come le vittorie. Nel lontano 1979 la mia classe ebbe l’inusitato vanto di collezionare per una anno, la considerevole dote di oltre trenta note sul registro, più o meno distribuite anche tra i singoli, tanto da vedere – caso unico in tutta Italia,- l’intervento del Provveditore agli Studi. Avevamo quasi tutti il 7 in condotta, ma il corpo docente non poteva far nulla perché la media di rendimento era ottima. Fregati!
L’ultimo anno, quello della maturità, venimmo puniti in blocco non permettendoci la gita scolastica a Roma. Mi vendicai giocando un terribile scherzo (uno dei tanti) che portò la Polizia locale a intervenire nell’Istituto. La maturità fu il canto del cigno suonato sulle note eroiche del Funerale di Sigfrido. Tutto questo per voler far sapere al gesuitico pontefice, immemore del fatto che proprio la compagnia di Gesù abbia egregiamente condotto per secoli importanti istituti scolastici, che a noi nessuno ci ha mai protetto dagli “errori di fuori”, anzi ci hanno insegnato a stare al mondo, ci hanno insegnato cos’è la bellezza, l’arte, la musica, il teatro. E, non ci crederete, ma ci è stata insegnata una dote molto rara: il saper ridere e l’ironia, di fronte alle avversità del mondo. Tutto questo papa Bergoglio non lo sa.
Aggiornato il 08 aprile 2019 alle ore 12:28