Fu Aristotele a definire l’Europa come la negazione dell’Asia. Questa era il continente dell’autarchia, l’Europa - che dell’Asia rappresenta quasi un’eccentricità, una penisola - quello delle poliformi e distinte manifestazioni del potere. Dunque, l’Europa è stata terreno fertile per la democrazia, per la montesquieiana divisione dei poteri e per la libertà, a partire dall’esperienza unica dell’Atene di Pericle fino alla nostra (post)modernità borghese.
Nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel riprese questa antica idea greca con il famoso detto per cui nel mondo antico asiatico uno solo era libero (colui che regnava), in quello greco-romano alcuni (vi era infatti la contrapposizione tra schiavi e ingenui), in quello cristiano-germanico tutti erano (potenzialmente) liberi.
E così l’identità del Vecchio continente sembra irriducibile a un principio unico. Negli anni Sessanta del secolo scorso, Edgar Morin parlò di un policentrismo dell’Europa: tutti quelli che provarono a unirla fallirono, inesorabilmente - non importa essi fossero re, imperatori, principi o tiranni.
Anche Immanuel Kant auspicò, sul solco del principio stabilito nella pace di Vestfalia cuius regio, eius religio, un periodo di non belligeranza tra gli stati nazionali europei, garantito da un diritto universale transnazionale. La pace perpetua avrebbe creato un nomos di stabilità e libertà.
Di questo e molto altro si è parlato in un convegno a Roma, dal titolo “L’umanesimo e l’Europa. Tradizioni e cambiamenti della nostra identità” svoltosi nei giorni scorsi a Roma presso la Biblioteca Vallicelliana. All’evento curato da Carlo Cappa, docente di filosofia dell’educazione all’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, hanno partecipato docenti universitari dall’Italia, dalla Francia e dalla Svizzera.
Attraverso gli apprezzati interventi è emerso come nella storia d’Europa sia iscritta la logica della limitazione dei poteri, che di volta in volta si vorrebbero universali e egemoni. l vari attori si confrontano o si contrappongono, ma non c’è mai una risoluzione definitiva, bensì una continua tensione animata dal poems, potremmo dire dalla nietzchiana volontà di potenza che di volta in volta cerca di affermarsi. Ma nessuno mai riesce a diventare (universalmente) egemone.
A parte le considerazioni filosofiche sull’inevitabile caducità delle opere umane, unite a quelle dell’ulteriorità della vita che sempre emerge di fronte a tutto ciò che è già dato o cristallizzato, nella nostra Europa, quella degli stati nazionali è stata non solo una storia di limitazione reciproca, ma soprattutto di armonizzazione della sovranità nei confronti del cittadino, che gode di diritti naturali e inalienabili, nella logica del miglior pensiero liberale proposto da John Locke. Anche il grande, e universalistico impero romano, del resto, aveva le popolazioni germaniche, a nord, che si contrapponevano lungo la frontiera reno-danubiana, a sancire una mai conclusa definizione totale.
Ma la limitazione del potere, e l’impossibilità di risolvere le differenze a un principio unico, in Europa, si sposano con un’altra fondamentale conquista della nostra civiltà occidentale: l’umanesimo. Un umanesimo che oggi ritorna e che si basa su un ermeneutica del soggetto e del bene dell’uomo, attraverso un discorso di emancipazione e di creazione di opportunità. Specie nel tempo della comunicazione digitale e dei media elettronici onnipervasivi, in cui si pensa addirittura a come trascendere la persona umana in una nuova, tecnologica forma. Un desiderio mai sopito, quello dell’uomo, di non arrendersi alla mera macchina e ai dispositivi totalizzanti e annichilenti del nostro tempo.
Un secolo fa circa Emile Durkheim scriveva come nella nostra epoca, sempre più secolarizzata e massificata, l’unica religione, l’unico legame sociale fondato sul sacro, si sarebbe condensato attorno a un nuovo culto dell’umanità. Al di là dei differenti e legittimi punti di vista, ciò che è bene per l’uomo è ciò che deve essere messo al centro della riflessione e della cultura politica. Per un umanesimo che si fondi sulla difesa dell’uomo e della sua libertà. Che sia proprio questa, il ripudio della tirannia e la difesa del bene dell’uomo e della sua libertà, l’identità che viene tanto invocata per l’Europa e per l’Occidente?
Aggiornato il 25 febbraio 2019 alle ore 13:07