Tirabassi-Proietti per un classico di Magni all’Eliseo

L’eredità di “Gaetanaccio”? Passata dal padre Gigi (Proietti) che, quaranta anni fa al Teatro Brancaccio di Roma per la regia e i testi di Luigi Magni, fu il primo, memorabile interprete dell’ottocentesco burattinaio romano (realmente esistito), alla figlia Carlotta che interpreta oggi Nina, l’innamorata di Gaetanaccio (Giorgio Tirabassi), nella versione dell’omonima commedia musicale che va in scena al Teatro Eliseo fino al 10 marzo, per la regia di Giancarlo Fares. Ma i veri interpreti non sono loro, i burattini viventi nelle persone dei guitti di una abborracciata compagnia teatrale, e nemmeno il clero corrotto e amorale della Roma di un tristo Papa Leone XII, ma due entità in un certo senso astratte e tremendamente reali al tempo stesso: la Morte e la Fame. La seconda complice e sicario della prima e sposa fedele del “Ghetanaccio” storico, costretto a chiedere l’elemosina quando nel 1825 il Papa, in occasione del Giubileo, proibì gli spettacoli teatrali in ogni forma e luogo, fino a morire di tisi a soli cinquanta anni a causa della denutrizione cronica. Nello spettacolo anche le maschere più pure delinquono per vendicare l’assassino di altre maschere da parte del potere costituito.

All’epoca, erano in molti a fare alcuni giri di walzer con la morte e i ponti del Tevere sembravano altrettanti trampolini di lancio, visto il numero elevato di suicidi e omicidi per annegamento, talvolta previo accoltellamento notturno da parte di banditi o persone insospettabili assetate di vendetta. Perché nulla c’è di più violento e scandaloso della ribellione popolare silenziosa all’obbligo di essere devoti e pii per costrizione, come quello di certificare l’avvenuta osservanza del precetto pasquale attestata da una certificazione rilasciata dal parroco del rione di residenza. Del resto, che cosa c’era da aspettarsi in un clima dissoluto in cui i monsignori erano noti per approfittare dei favori delle cortigiane e per insidiare le virtù delle giovinette bisognose? Il poeta Gioacchino Belli fece rima alle prese in giro e ai lazzi contro il potere di Ghetanaccio rovesciando su nobiltà nera e clero le verità scandalose che li riguardavano. Davvero l’Amore è un bisogno fondamentale come la Fame? Il problema è che l’amore per viverlo e praticarlo ha bisogno di energia che, purtroppo, viene dal carburante sintetizzato dallo stomaco, sicché alle serenate sotto le finestre si coniugano le incessanti lamentele e i brontolii di pancia di chi è costretto a saltare i pasti, non potendo rinunciare a fare l’artista di strada.

Altro protagonista muto e duro è il bastone nodoso che i burattini umani impugnano con tanta disinvoltura per estrarre obbedienza dal popolino povero e spaventato. Così solo la prospettiva di una normale cena come ricompensa spinge Gaetanaccio ad accettare l’invito del nobile governatore di Roma a esibirsi davanti al suo nemico giurato, proprio quel Papa insensibile e disinteressato alla sorte dei suoi sudditi che ha bisogno di sorridere stimolato dal giullare che, però, narra un po’ troppo seriosamente la storia dei tre Re Magi e quindi si fa una notte in cella per vilipendio della religione. E sarà due volte sfortunato, perché nelle ventiquattro ore di carcerazione non avrà avuto diritto al tanto agognato rancio! Le condizioni miserabili del popolino sono testimoniate dalle vesti lacere e dalle lenzuola sudice infestate da parassiti, mentre le dispense casalinghe restano desolatamente vuote. Ma anche per i guitti randagi dello spettacolo ambulante di Meo Patacca sfamarsi significa brucare come le capre i campi di cicoria selvatica, condendola con il sale e qualche goccia preziosissima di olio d’oliva. Tutti, in fondo, comparse e primi attori, clienti di Sorella Morte che non si stanca mai di danzare con noi finché resta teso il filo della nostra vita.

(*) Per info e biglietti: Teatro Eliseo

Aggiornato il 21 febbraio 2019 alle ore 12:06