Mai come ai giorni nostri l’Informazione ha avuto un potere così grande in ogni campo e nella vita intera di una nazione. Essa risale ai primordi dell’umanità, quando le notizie si diffondevano attraverso il cosiddetto passaparola, con l’inconveniente che, nel passare da una bocca all’altra, la notizia via via subiva delle trasformazioni sicché spesso alla fine risultava il contrario di quella che era in partenza. La vera antenata della Informazione moderna, che consisteva anch’essa in una voce, non in fogli di carta stampata quali sono i giornali, è la Fama, di cui parla Virgilio nel IV libro de “l’Eneide”:
“La Fama, un morbo di cui mai nessuno
fu più veloce, nel suo stesso moto
via via si accresce per vigore e forza,
mostro enorme, che quante ha piume in testa
tanti vigili occhi vi nasconde
(incredibile a dirsi), tante lingue,
tante bocche squillanti e tante orecchie
sollecite al più lieve mormorio,
tenace spacciatrice di menzogne
e verità, mischiando il vero e il falso”.
La Fama di Virgilio, dunque, e degli antichi in generale, corrispondeva esattamente alla Informazione di oggi (niente di nuovo sotto il sole), ai così detti mass-media, mezzi di comunicazione di massa, ai giornali, alla televisione, ai social e così via. In Italia, il giornalismo con la carta stampata nacque nella prima metà dell’Ottocento, esattamente il 16 giugno del 1848 con la “Gazzetta del popolo”, a Torino. Ma già nel 1735, casualmente, circolò per qualche tempo la “Gazzetta di Parma”. Nel 1859 Bettino Ricasoli fondò “La Nazione” e da quel momento la diffusione dei giornali si estese, col “Giornale di Sicilia” (1860), “L’Osservatore romano” (1861), il “Sole” (1865), “Il Secolo” (1866), il “Corriere della Sera” (1876).
Il potere dell’Informazione è così grande che può rovinare e addirittura spingere al suicidio una persona, o danneggiare intere comunità, utilizzando come strumento persino la Giustizia, ovvero i magistrati, che dovrebbero essere liberi e immuni da qualsiasi intrusione o condizionamento. “Il Palazzo di Giustizia”, scriveva già Ugo Betti nei primi anni del secondo dopoguerra, “è la miniera, il pozzo, il nido dei sussurri. E’ da lì che nascono i processi. Si comincia con le voci, coi pettegolezzi, coi tam-tam provenienti dalla giungla dell’Informazione. E’ come una cancrena che si allarga”.
“In principio era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio: tutte le cose hanno avuto origine da lì”: così esordisce il “Vangelo di Giovanni”. La Parola (che poi è la sostanza stessa di Dio, un insieme di suoni, come le vocali e le consonanti) ha dunque il potere non solo di creare un mondo, ma anche di distruggerlo. Basta il giudizio negativo di un critico o di un giornalista per eliminare un libro che è costato tanta fatica al suo autore.
Quello dell’uomo, dunque, è principalmente il mondo della parola, la quale nella dialettica (che è la vera creazione di Dio, tutte le altre sono “cose di ordinaria amministrazione” in quanto nate dalla sua sostanza stessa) ha una importanza e un ruolo fondamentali: è da lì, infatti, che nascono le contrapposizioni, come il bene e il male, la Destra e la Sinistra, e così via. Ma la dialettica deve essere costruttiva, non distruttiva, veritiera, calma, tranquilla e rispettosa di tutte le opinioni, priva di insulti, di parole offensive e volgari, soprattutto nella politica. Così accade anche nell’Informazione. Sulla quale, avendone già scritto altrove, mi limiterò a riportare un canto di un mio recente poemetto (“Italieide”) dedicato alle vicende del nostro paese.
Canto IX
Questo mio nono canto è dedicato
interamente ad un tema speciale,
molto discusso e tanto delicato.
Se in Italia le cose vanno male
la colpa è pure dell’Informazione,
non dico tutta, della maggior parte.
Nei giornali c’è troppa confusione,
sono faziosi, imbrogliano le carte.
Chi è colto e intelligente si districa
in questo labirinto, egli lo sa
come uscirne, ma il volgo fa fatica,
non ne possiede la capacità.
Coi social, poi, che vanno a gonfie vele,
i Facebook ed altre amenità,
essa è una nuova Torre di Babele,
che, come l’altra, prima o poi cadrà.
Invece di sopir la divisione,
che nel Paese attizza la politica,
l’accresce, fa una grande confusione
tra la faziosa e l’obiettiva critica.
Più strafottente dell’antica Fama –
un “mostro enorme”, un “morbo”, che veloce
si diffonde, aggiungendo brama a brama –
va spargendo dovunque la sua voce,
tenace spacciatrice di menzogne
inframmezzate con la verità,
creando malintesi, insulti e rogne
in nome – dice – della libertà.
Nell’Ottocento un celebre scrittore,
Ludovico di Breme, definito
lo “spadaccino” del “Conciliatore”,
nel suo giornale, offeso e indispettito,
denunciò la “sguaiata oltracotanza”
dei cronisti italiani, che chiamava
“beffardi e screanzati”, e giù ad oltranza,
con l’animo angosciato, criticava
le “inconsideratezze e villanie
delle quali traboccano gli articoli
di certi fogli, e le mariuolerie
di giornalisti stupidi e ridicoli”.
E facendo agli stessi il contrappunto,
siccome fuoco che furioso avvampa,
“A qual segno”, diceva, “non è giunto
questo arbitrario abuso della stampa!”.
Mussolini, poiché certi giornali
screditavano all’estero il Paese,
raccontando dei fatti surreali
e creando disordini e contese,
dicendosi “costretto”, limitò
la libertà di stampa. A quel suo atto
quasi nessuno allora protestò:
non era dopotutto un gran misfatto.
Papini, fra le tante descrizioni,
definiva i giornali “il surrogato
delle corride e delle impiccagioni”,
“pezzi di foglio sporco”, un “concentrato
di piaggeria, retorica e menzogna”,
e “storici dell’attimo” i cronisti
che come “spie” mettevano alla gogna
questo e quello con metodi mai visti.
Pansa, per farla breve, ha definito
“Carte false” i giornali e “Carta straccia”.
Col suo solito stile, risentito,
è andato alla ricerca, od alla caccia,
dei più diversi e noti giornalisti:
“asini, reticenti, assaltatori,
corrotti, analfabeti, scandalisti,
giustizieri, corrotti, imbonitori,
militanti, crociati, leccatori,
opinionisti della Rai tivù
vittimisti, nonché violentatori”.
O giornalisti, non se ne può più.
Or vi dirò col mio linguaggio sciolto:
“Non superbite, e via col viso altero,
o figli d’Eva, e non chinate il volto,
sì che veggiate il vostro mal sentiero!”.
Come la libertà, l’Informazione
anche lei deve avere delle regole
altrimenti tu perdi la ragione
e scrivi cose ignobili o pettegole.
Molti anni fa su “OG Informazione”
Titta Madìa, citando alcuni dati,
ricordò ai giornalisti la funzione
nobile e santa a cui sono chiamati.
“Voi”, disse l’avvocato in conclusione,
“non avete soltanto dei diritti,
potete dire la vostra opinione,
ma state sempre attenti a filar dritti”.
Biagi esclamò: “Non c’è più direttore
che conti qualche cosa: se cestina
un pezzo o se corregge qualche errore,
l’autore in tribunale lo trascina”.
Paolo Mieli, rompendo la sua quiete,
andandoci anche lui con le cattive:
“Siete stupidi”, disse: “non potete
prendere voi tutte le iniziative”.
La Mafai confessò: “Questo è il problema:
ogni articolo nostro è compilato
in modo che coincida con lo schema
che nella nostra mente è già fissato”.
Ma perché in un paese che già langue
tutti i Tg ci fanno anche la guerra,
mostrandoci col marcio tutto il sangue
che scorre sulla faccia della terra?
A colazione, a pranzo ed alla cena
dobbiamo, a danno della digestione,
sorbirci pure, scena dopo scena,
tutte le porcherie della nazione.
Certe immagini generano il male,
quando, seguite dall’emulazione,
fanno di un uomo onesto un criminale,
che finisce col perder la ragione.
In questo mondo sporco, dopotutto,
ci sarà pure qualcosa di buono,
e allora quanto meno insieme al brutto
mostrateci anche quello, e pari sono.
Giornali seri e fatti con coscienza
per fortuna ce n’è nella nazione:
c’è davvero una bella differenza
tra “Il Fatto Quotidiano” e “L’Opinione”.
Il primo è zeppo di diffamazioni,
con tanto di condanne e di querele,
a partire da Silvio Berlusconi,
ma naviga comunque a gonfie vele.
Il secondo, pacifico e sapiente,
è il quotidiano “delle libertà”,
cioè delle opinioni della gente,
e non altera mai la verità.
Benché libera sia, l’Informazione
non vuole l’odio e la faziosità:
se ci si mette dentro la passione,
si è come schiavi della libertà.
Aggiornato il 19 novembre 2018 alle ore 13:34