Jenkins e Michael Moore “infiammano” la Festa del Cinema

La Festa del cinema “si accende”. Barry Jenkins e Michael Moore sono i protagonisti del fine settimana della kermesse capitolina. Jenkins sostiene che la vittoria dell’Oscar per il suo appassionato “Moonlight” gli abbia cambiato la vita. “Prima – afferma – dovevo lottare per un sì. Adesso invece devo saper dire di no”. Il regista ha presentato “If Beale Street could talk”, tradotto in “Se la strada potesse parlare”, una storia di amore e diritti negati tratta dal libro di James Baldwin. “Sono un fan dello scrittore – sottolinea Jenkins – da quando ero all’università. È stata una mia ex ragazza a farmi conoscere il suo lavoro e ho da subito amato il suo modo di scrivere. In questo libro ho trovato la perfetta combinazione tra la sua vena romantica e un’altra critica contro il sistema”. Film e libro raccontano la storia di un uomo ingiustamente accusato di stupro e la sua fidanzata incinta, lotta per dimostrare l’innocenza del suo compagno. “Baldwin – chiosa Jenkins – lo scrive nel libro. Le persone nere hanno una vita difficile, dalla fondazione dell’America e forse del mondo. Nonostante la nostra sofferenza abbiamo comunque voglia di essere felici e di celebrare la bellezza, ma dobbiamo anche sopravvivere”.

Per Jenkins, “la scrittura di Baldwin era così vivida nella descrizione che abbiamo lavorato per due mesi per riuscire a riprodurre in video il vestiario dei personaggi. Quando in una famiglia di colore nasce un figlio, i genitori non lo lasciano libero, ma lo proteggono. È un istinto naturale che è molto ben spiegato nel libro. Volevo sottolineare la forza delle famiglie afroamericane”.

Michael Moore è stato il protagonista del sabato festivaliero. Ha presentato il suo ultimo documentario “Fahrenheit 11/9”, a quattordici anni da “Fahrenheit 9/11”, il film sull’11 settembre premiato con la Palma d’oro a Cannes. In questo nuovo film, il regista lancia il suo atto d’accusa contro Donald Trump. Il racconto parte da un flashback. Com’è stato possibile eleggere il tycoon alla presidenza degli Stati Uniti? L’analisi prende le mosse dagli errori del Partito democratico dalle responsabilità dell’establishment economico. Moore usa la sua proverbiale e dolorosa ironia per raccontare l’America profonda.

Durante l’incontro con il pubblico il regista è un fiume in piena. “Matteo Salvini e la politica sui migranti? Semplicemente un razzista. Donald Trump? Un intrattenitore che tutti, media per primi, hanno sottovalutato. Steve Bannon? Un genio da cui l’Europa dovrebbe guardarsi. Barack Obama? Un uomo che mi ha fatto commuovere nella cabina elettorale e ha deluso le comunità che lo hanno sostenuto, prima di tutto quella della mia città. La sinistra in America ma anche in Europa? Per paura di apparire troppo di sinistra ha perso completamente la sua identità”. Poi, saluta. Nel suo stile. “L’ultima cosa che vi occorre – sostiene – è un americano che vi dica cosa fare. Eppure io crescendo grazie all’Italia ho fatto delle straordinarie esperienze: cinema certo ma anche letteratura, teatro, i vostri ideali e il vostro sistema sanitario di cui so che vi lamentate ma vi garantisco, avendo fatto un film sul tema, “Sicko”, che è uno dei migliori al mondo. Senza parlare del fatto che quando sono venuto qui per la prima volta trent’anni fa ho mangiato un pomodoro di cui non dimenticherò mai il sapore, dopo essere cresciuto a hamburger e patatine. Ed è un paradosso perché il pomodoro viene dagli Stati Uniti, appartiene ai nativi americani ma sono dovuto venire in Italia per assaporarne il verso sapore. Quello che l’Italia può offrire al mondo è così tanto e profondo che io vi imploro: siate ancora l’Italia, ma non quella che dicono i politici “prima gli italiani”, quella che ho conosciuto. Abbiamo bisogno di voi, il mondo ha bisogno di voi”.

Aggiornato il 22 ottobre 2018 alle ore 14:06