Il significato di “Beur”? Rifuggendo l’inganno dell’onomatopoeia, il Petit Robert  ne dà la seguente definizione: “Giovane arabo nato in Francia da genitori immigrati”. Facile conseguenza: in un Paese di autoctoni che fanno pochi figli le seconde e terze generazioni di “beur” costituiscono la maggioranza assoluta della popolazione giovanile, per cui le classi scolastiche di ogni estrazione e grado, dalla materna all’università, hanno i colori ambrati dell’Africa magrebina francese. Ed è un vero spettacolo, per chi conosce Parigi, vedere le classi di bambini che sciamano allegre nelle strade del centro e delle periferie, in cui i dolci volti infantili dell’Indocina francese si coniugano con quelli dell’Africa mediterranea mentre i tradizionali colori celtici rimangono netta minoranza. Però, l’altra faccia della medaglia sono le orribili “villes nouvelles” da cui prendono il nome le sterminate periferie parigine, che ogni tanto si incendiano proprio a causa delle condizioni marginali in cui vivono gran parte dei beur che, per rivalsa, si riappropriano e si radicalizzano nella religione islamica dei padri ribaltando così il loro sentimento di inferiorità.

Nel film “Quasi nemici” del regista Yvan Attal (nelle sale da ottobre) magistralmente interpretato da Daniel Auteil (il professore, Pierre Mazard) e dalla rivelazione Camélia Jordana (la studentessa, Neïla Salah, matricola e aspirante avvocato) già nota al pubblico come protagonista di “Due sotto il Burqa”, una giovane beur di Creteil, uno dei ghetti di Parigi, si trova alle prese con la sua voglia di riscatto sociale e la dura realtà del confronto quotidiano con i figli della middle-upper class francese. Siccome dal letame (razzista) possono nascere fiori meravigliosi multicolori, il regista Attal sperimenta con consumata maestria la sua originalissima idea del rapporto tra maestro e allieva, in cui il gioco dei ribaltamenti di valori e prospettiva è quanto mai imprevedibile ed emozionante. Così, grazie alle più complesse figure dialettiche dell’oratoria ciceroniana e alle regole di Schopenhauer per la retorica, passando per “Les fleurs du mal” di Baudelaire (testo osé per cui il grande scrittore fu messo all’indice, a causa dello scandalo che ne conseguì), si crea una palestra di vita che va dalle aule semideserte, riservate ai colloqui universitari a due tra studente e professore, ai treni affollati del metro parigino in cui la retorica più raffinata si mescola agli artisti di strada e all’immaturità naturale dei giovani frequentatori, aggressivi, squattrinati e incolti, in cui la loro unica ragione di vita sta nel cavallo dei pantaloni.

Ed è una ruota vorticosa, azionata dall’odio-amore, dal razzismo-ammirazione che catapulta una bellissima ragazza musulmana di periferia nei sancta sanctorum della sapienza occidentale, mescolando le tradizioni arabe del gineceo domestico (nonna capostipite, sua figlia della seconda generazione, la nipote Neïla della terza) e degli amori giovanili forti e generosi di una periferia che all’apparenza si vorrebbe diseredata, con le pandette dei giudici universitari e con l’imbarazzo che sconfina nel fascino irresistibile per quella “francese” araba e testarda da parte dei figli della buona borghesia, più assenti che vivi e vivaci avendo avuto il massimo dalla vita senza fare nessuna fatica. Mai fidarsi degli occhi che ti sfidano e che sembrano trasudare disprezzo: non serve avere ragione, ma vincere lo stesso discettando malgrado le ottime argomentazioni dell’avversario. Grande, gigantesco è quel docente che con il suo spleen perennemente negativo e provocante sa dare humus e nutrimento a una fertile mente giovanile, trasferendo in lei il meglio con cui l’umanità si possa esprimere. Il premio assoluto e reciproco per Neïla e Pierre verrà solo alla fine del loro combattimento.

(*) Trailer ufficiale

Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 15:39